L’immagine riflessa da “Black Mirror”

l'immagine riflessa da Black Mirror

L’immagine riflessa da “Black Mirror”

In attesa della messa in onda su Netflix della 4° stagione (programmata per quest’anno), sento di dover spendere una o due parole su questa “illuminante” e potente serie televisiva che ho da poco scoperto e concluso. Per chi non ne avesse mai sentito parlare, “Black Mirror” è una serie composta da episodi a sé stanti e autoconclusivi, ma assimilabili in un medesimo universo narrativo che ruota attorno al rapporto ormai sempre più simbiotico tra uomo e tecnologia, al suo lato oscuro

Ogni puntata è un condensato di pura tensione, drammaticità e angoscia; una profezia tecnologica; un’ammonimento sull’abuso della tecnica; ma è sopratutto un sollecito invito alla riflessione umana. Sì, perché “Black Mirror” è tanto lo schermo nero di un dispositivo “off” quanto lo specchio nero riflettente l’oscurità insita dell’uomo, uno specchio che ad un certo punto s’incrina (come nella scena di apertura di ogni storia), come se non riuscisse a tollerare un’immagine troppo opprimente, soffocante, lacerante; ma, a pensarci bene, lo specchio che viene a creparsi non è uno specchio qualsiasi, bensì lo “specchiodell’interiorità, dell’anima, dell’essere

Anziché dire che “Black Mirror” esplora i possibili risvolti inquietanti delle nuove tecnologie, sarebbe meglio dire che ci mostra nuovi possibili modi un cui «l’umanità» può manifestarsi attraverso l’ausilio della tecnologia odierna/futura. Il problema è che ci troviamo a competere in una corsa impari: il ritmo con cui la maturità e la consapevolezza umane progrediscono non è minimamente paragonabile a quello dell’innovazione tecnologica.

Arriverà un giorno quando non giocheremo più a fare Dio, ma lo saremo a tutti gli effetti… e dubito che saremo pronti.

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