A ognuno il suo Godot

A ognuno il suo (Godot)

A ognuno il suo Godot

Non sono un consumatore di opere teatrali, ma la fama “balzana” di Aspettando Godot, pièce di Samuel Beckett, ha finito per incuriosirmi (le stranezze calamitano con facilità).

Due atti, due tizi, due ore di attesa inconcludente presso un spiazzo desolato – che si vuole di meno? – . Tempo perso? Per i protagonisti è senza dubbio il caso; per noi, pubblico, sì e no. Sì poiché, assieme e alla stregua di Estragon e Vladimir, per l’intero svolgimento della rappresentazione, non facciamo altro che attendere la comparsa in scena del fantomatico signor Godot; no poiché l’opera, quello che vuole esprimere, il suo valore e pregio, è intrinsecamente inscindibile da quel vano aspettare, non potrebbe che essere interpretato, inscenato, che con quel vano aspettare.

Ma chi è questo tale, Godot? Un’incognita che rimane tale. Chiunque esso sia: sta senz’altro arrivando, arriverà.

La coppia è inchiodata, in attesa.

Sembra che incontrare il signor Godot sia la loro unica ragione di vita, la suprema giustificazione ontologica, il timbro che attesterà la legittimità, la consistenza del loro essere ed esistere; non a caso viene contemplato il gesto estremo, il suicidio.

Sul chiudersi della prima e della seconda parte, poco prima che il giorno ceda il passo alla notte, si fa avanti un messaggero inviato dal misterioso signor Godot, che mette al corrente i due poveri cristi che il suo padrone è impossibilitato a presentarsi, oggi, ma che indubbiamente si farà vivo, l’indomani.

Didi e Gogo – tra di loro si chiamano così, saranno i soprannomi – possono niente, solamente aspettare e sperare (non è dichiarato apertamente, però l’insolito fatto che il duo ha tutta l’aria di non rammentare il primo giorno di buca, porterebbe a pensare che i rinvii siano più di due…).

Aspettando Godot mi appare come una originale e indovinata rivisitazione, in veste teatrale, di quanto narrato nel mito di Sisifo, specificatamente per quanto compete la sua esemplare punizione. Da un lato, abbiamo la condanna di un attesa infinita e perciò futile, vuota, dall’altro, un uomo anch’esso condannato a un’azione  inutile e che fine non ha: spingere un masso su per un ripido pendio, unicamente per vederlo ruzzolare giù. Ma Aspettando Godot, dal mio punto di vista, non si ferma al solo riproponimento, è al contempo propositivo.

Entrambi si rifanno al grigiore e al nonsenso che impregnano nauseamente la vita; Beckett ci mette però lo zampino e nel suo lavoro da brillante sfoggio di come noi uomini siamo in grado di appesantire oltremodo il peso esistenziale: che entri l’angoscia.

A ognuno il suo Godot.

Tutti noi aspettiamo con ansia e trepidazione la venuta del signor Godot (più notoriamente: senso, felicità, realizzazione ecc.).

Ignoriamo totalmente il suo aspetto. Ne conosciamo solo il nome, così dolce all’udito, sicuri nondimeno di riconoscerlo al primo sguardo, a tempo debito.

Il debito non viene saldato.

Aspettiamo. Aspettiamo. E aspettiamo ancora. Di Godot si ha l’impressione che sia sempre dietro l’angolo, che sia in procinto di rivelarsi, ma il suo avvento viene rimandato. Rimandato. Rimandato più in là dell’orizzonte...

L’opera sembrerebbe ammonire: volete evitare di marcire d’angoscia? allora non limitatevi a pazientare, non rimanete con le mani in mano, non aspettatevi la pappa pronta, la carità divina: agite! muovete le chiappe e andate incontro al signor Godot!

Il successo, ovviamente, non è garantito, ma vista l’alternativa… poi, se uno proprio vuole/si trova ad agonizzare, meglio farlo in due, in compagnia: mal comune mezzo gaudio.

 

 

 

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