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Sei intelligente…

Sei intelligente...

Sei intelligente…

Quando è troppo è troppo, eh!

Mi ero ripromesso di non scrivere questo articolo, dal momento che, dal mio punto di vista, ciò che in esso è contenuto non è niente di sensazionale, originale o stimolante, ma che, al contrario, non fa che avanzare delle ovvietà. Un post superfluo, quindi. Tuttavia, dopo aver udito per l’ennesima volta – di una serie quasi infinita – un’esternazione nella quale faceva capolino l’aggettivo qualificativo “intelligente”…

Nella testa della gente si annidano sicuramente una caterva di idee sbagliate, idee frutto di un approccio superficiale alle cose, di un’attitudine a un’irriflessiva approssimazione dei dati dell’esperienza – per dirla alla Locke – . Lungi da me reclamare di avere in tasca l’esatta formulazione costitutiva e descrittiva di quella particolare manifestazione comportamentale alla quale comunemente si associa la parola “intelligenza”, il mio umile proposito è semplicemente quello di fare quel minimo di pulizia…

Da quanto ho potuto constatare, il fraintendimento che fuorvia clamorosamente il pensiero comune consiste nel confondere sapienza e intelligenza, nel reputarli sinonimi. Sapienza, ossia capacità, abilità teorica e pratica, maestria acquisite con l’applicazione continua, lo studio, l’esperienza (Treccani) ≠ intelligenza. Potrei sciorinarvi a menadito l’interezza monumentale della Divina Commedia, ma non per ciò sarei intelligente; potrei calcolarvi con il solo ausilio della mente la radice cubica di un numero composto da cento cifre, ma non per ciò sarei intelligente: la prima, è saggio di una memoria mostruosa; la seconda, della ragguardevole padronanza di una metodologia computazionale; altresì, non è identificabile con l’essere intelligenti l’erudizione conferita dal conoscere una montagna variegata di nozioni, l’essere, come si dice, un pozzo di scienza, un’enciclopedia vivente.

Chiaramente, intelligenza e sapienza non si escludono a vicenda, solo non sono la medesima cosa. Se dovessimo equiparare la mente a un palazzo, l’intelligenza sarebbe la sua struttura portante, mentre la sapienza la sua mobilia. In linea di massima, bisognerebbe pensare all’intelligenza come una particolare disposizione, conformazione mentale, perlopiù innata, che tende a generare risposte ottimali, relativamente al contesto operativo, agli stimoli ricevuti, e al numero e alla qualità delle informazioni possedute. Sicché una maggiore parsimonia nell’accordare tale connotato sarebbe d’obbligo…

Visto? Che cosa avevo preannunciato? Un truismo.

Ma già che ci siamo, colgo la palla al balzo per predicare una seconda banalità, poiché si dà il caso che neppure attorno all’argomento “sapienza” le cose vadano tanto meglio. Qui l’abbaglio è nel credere la sapienza una facoltà generalizzata, un monolite che tutto comprende e che tutto informa: come se la perizia in un’attività, la competenza in un ambito implicassero automaticamente, d’ufficio, al pari di una legge matematica, eguale grado di perizia in attività altre, eguale grado di competenza in ambiti altri!
A dispetto di quanto si può pensare, il transfer tra (macro)abilità, anche piuttosto affini, non è affatto una cosa scontata, anzi…

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