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Il momento più strano nella vita? Vediamo… il giorno in cui alla fine arrivi a processare il fatto della tua mortalità?

Che alla vita segua immancabilmente la morte, nessuno si meraviglia: è una di quelle poche verità che hanno il pregio di essere universalmente conosciute – sebbene non sia affatto semplice ricordare quando e come questa verità ci sia stata resa nota la prima volta -. Eppure, paradossalmente, per quanto concreto e continuo il suo manifestarsi, forse non esiste concetto per noi più astratto (escludendo chi per professione ha a che fare quotidianamente con la morte). Ne riceviamo notizia ogni giorno; ne siamo consueti spettatori quando immersi nei vari mondi della finzione cinematografica e televisiva, ma malgrado ciò percepiamo la morte come un qualcosa di evanescente, distante, alieno: poco più che una possibilità/conseguenza logica.

Nondimeno, è solo una questione di tempo. Presto o tardi – preferibilmente presto che tardi – Morte verrà a spalancarci gli occhi. Dal nulla sbucherà, la spalla ci picchietterà, divertita sentenzierà: “Non sei differente, lo sai ciò che ti aspetta“. E per me quel fatidico momento è giunto.

La bolla di immortalità, o meglio, la bolla di ignoranza che mi ha schermato e reso impermeabile alla basilare verità della mia mortalità (per quasi trent’anni) ha fatto PUFF! Complicato stabilire se questo significativo avvenimento abbia avuto una precisa causa scatenante oppure che si tratti più di un fatto “spontaneo”, naturale, come lo staccarsi dall’albero di un frutto ormai maturo, ma tant’è… È una sensazione senz’altro peculiare: rendersi conto di dover un giorno perire, che condizione bizzarra quella umana!

Non importa quale percorso tu ed io intraprenderemo, la destinazione finale sarà la medesima per entrambi. Ciò che faremo e diremo non farà, alla fine, la minima differenza: abbiamo tutti un appuntamento col destino ultimo di ogni cosa, fino ad un certo punto rinviabile, ma chiaramente incancellabile e, soprattutto, indelegabile. Vivere richiede coraggio.

Come spesso viene lamentato, le parole stentano a descrivere e comunicare stati affettivi specialmente intensi, a sviscerarne la caotica fenomenologia che letteralmente si sprigiona furente entro le membra di colui che ne fa esperienza, e questo a maggior ragione vale per quel sconvolgente momento che è il rendersi VERAMENTE conto della propria mortalità… Ma volendo schematizzare, alla cognizione della mia inevitabile dissoluzione, le seguenti disposizioni d’animo si sono per gradi succedute: stupore, futilità, accettazione, consapevolezza, umiltà, compassione, pace. Capire di essere mortale ti cambia; ti uccide – è una prima morte – . Ora mi sento più leggero. Sento di poter fluttuare sopra le cose, osservarle dall’alto ricavandone una rinnovata chiarezza. Sento inoltre di essermi purgato dell’inebriante sentimento di vanagloria sui cui finora poggiava il grosso della mia autostima. Da piccolo ero convinto di essere destinato a grandi cose, me lo sentivo nelle ossa, ero speciale – chiaro caso di sindrome dell’eletto, se mai esiste qualcosa di questo tipo – . Crescendo, quella convinzione si è mano a mano smussata fino a ridursi ad un generalizzato senso di superiorità nei confronti degli altri.

Ah, quanto è ridicolo, insulso, insignificante, l’atto di compiacersi delle proprio capacità (reali o presunte), ricercare avidamente maggiore “potere” per compiacersi maggiormente di sé stessi? Adesso, lo vedo fin troppo bene. Basta perdere tempo a correre freneticamente dietro a miraggi, fantasmi od ombre. Rilassati, cammina, curati di ciò che ti sta intorno, accogli ogni istante per quello che è, divertiti, ama. Il resto non ha importanza.

Mortale

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Il viaggiatore che non adopera il pensiero e il dotto che vive in sistemi astratti di concetti, sono ugualmente incapaci di acquistare una ricca esperienza.

Rudolf Steiner – La filosofia della libertà

Sii viaggiatore dotto

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Naturale = Buono

Naturale = Buono

Naturale = Buono

Un’equivalenza che è un equivoco, un malinteso diffuso e radicato che tende a screditare l’operato di alcuni campi della scienza e intralciarne il vitale progresso. È come se il pensiero comune adottasse nei confronti della natura un culto del divino rimasuglio dei tempi antichi: una madre buona e amorevole.

È naturale, quindi è buono; è buono, deve essere naturale.

Un dogma bello e buono.

Naturale è semplicemente qualcosa di non creato/indotto artificialmente. Non vi sono, né sono necessarie e opportune connotazioni aggiuntive; men che meno una considerazione imbevuta fino all’orlo di aprioristica validità e bontà etica… 

La natura è amorale. No, anche questo è cadere nell’abbaglio di personificare la natura…

Dobbiamo ricordarci che la natura non è un’entità, ma un’astrazione, una categoria che sta per l’insieme delle leggi, delle forze e dei processi che stanno alla base dell’universo, e dunque di ogni essere vivente e cosa inanimata, e che lo plasmano incessabilmente dalla notte dei tempi.

La natura è un lavoro in corso che semina frutti di qualunque varietà: dolci, aspri e amari; non è una granitica Bibbia che dispensa amore e giustizia. 

Ne deriva che, andare contro natura – quant’è demonizzata questa frase? -, deviare dal naturale, manipolare, modificare: non costituiscono di per sé, intrinsecamente, un male!

Ciò può essere complicato? delicato? pericoloso? Sì, sì e ancora sì. Solo un folle potrebbe negarlo. Dobbiamo essere estremamente cauti e coscienziosi, su questo non ci piove, ma ne vale la pena. Dico di più: per quanto è in nostro potere, per quello che concerne il miglioramento delle condizioni di vita umane, abbiamo il dovere morale di supplire alle mancanze e magagne della natura.

Attenzione però, qui non si tratta di sminuire la natura e mitizzare l’attività dell’uomo – la qual cosa sarebbe unicamente ridicola – , ma di rigettare con decisione una concezione manichea e dualista del reale, che vorrebbe contrapporre e ridurre ottusamente e dannosamente la physis, benigna, da un lato, e la téchne, maligna, dall’altro…

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