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È una piacevole mattinata. Una delle prime che segnano l’inizio della bella stagione: cielo terso, la natura che si tinge nuovamente del colore della speranza, il festoso cinguettare dei soliti passerotti invisibili. Me ne sto beatamente seduto su di una panchina, al parco vicino a casa, che si affaccia suggestivamente sul corso di un fiume, sono intento a farmi un salutare e gradevole bagno di sole quando, come sbucato dal nulla, mi si fa avanti un uomo prossimo alla mezza età, slanciato, sorridente, un signore vestito di tutto punto, in una mano reca con sé un tablet (la sua comoda e moderna “tavoletta dei comandamenti”, come in seguito ho potuto sperimentare). Lo squadro più attentamente e mi accorgo che il suo viso ricalca tremendamente i lineamenti e la fisionomia del campione di tennis Djokovic. Il sosia di Djokovic – così lo chiameremo d’ora in avanti – mi saluta con un tono e con un fare che ti aspetteresti unicamente da un ritrovato amico di vecchia data assente dalla tua vita da molti anni… e, senza tanti convenevoli, mi rivolge la seguente domanda: “Hai mai letto la Bibbia?”. Al che emetto, di riflesso, una grande sospiro (interiore) di disappunto e, nella frazione di secondo in cui quasi posso dire di avvertire il mio subconscio rassegnarsi all’idea di doversi sorbire letteralmente un sermone, con la speranza vana di togliermi dall’impiccio, sparo di contraccolpo un secco e leggermente stizzito: “No, e non sono per niente interessato”. Il sosia di Djokovic, però, non ne vuole sapere di battere in ritirata e anzi mi incalza con la fin troppo scontata domanda: “Ma tu non credi in Dio?”, nell’istante che pronuncia queste parole il suo volto tradisce un fulmineo ghigno di compiacimento e, come un predatore che presentandosi il momento propizio si avventa voracemente sulla sua malcapitata preda, senza concedermi il tempo materiale per qualsivoglia replica, comincia a dipanarmi con zelo propriamente religioso l’intera cattedrale argomentativa e retorica a disposizione del credente/convertitore; un passo qua, una parabola là, un metafora su, un miracolo giù, e la bellezza del creato, e l’infinita misericordia del Signore, e Gesù in croce, e il Giorno del Giudizio ecc. Un soliloquio di cinque minuti buoni al termine del quale il sosia di Djokovic mostra la tipica espressione ebete post-amplesso. A quel punto, riunisco tutta l’umiltà e la diplomazia di cui sono capace e dico la mia. Esordisco col dire che, in verità, la Bibbia è nella mia lista dei libri da leggere, ma appunto, per me, di semplice libro si tratta (per quanto divine le sue pagine possano essere). Dichiaro di non professarmi ateo perché se da un lato non ritengo ci siano ragioni/prove incontrovertibili che attestino l’esistenza di un essere estremamente capace, parimenti, non ritengo ci siano certezze assolute che neghino la sua esistenza. Concludo, nel merito specifico della sua fede, asserendo che con taluni precetti e insegnamenti di vita (che esortano verso comportamenti e sentimenti virtuosi sia a livello individuale sia collettivo) mi trovo anche a simpatizzare, mentre ho zero stima per le cosiddette grandi ed eterne Verità: 1) eventi massimamente improbabili; 2) pie illusioni che sostanzialmente fanno leva sulle nostre paure (del dolore, della morte, dell’oblio). Chiudo il discorso citandogli Laplace: “Dio è un’ipotesi di cui non sento il bisogno“. Il sosia di Djokovic tenta di dissimulare la sua disapprovazione con un sorriso visibilmente forzato, mi appioppa frettolosamente una bigliettino da visita (con su riportato sito web della sua organizzazione religiosa), si allontana senza troppi riguardi; torno finalmente a godermi quel paradiso di giornata.

Dio è un’ipotesi di cui non sento il bisogno

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