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Per certe cose il mezzo epistolare non si batte, è tutta un’altra cosa, è tutta un’altra esperienza… In questa occasione, ho voluto riportare il particolare contenuto di una lettera – scritta dal pugno di un certo Hunter Stockton Thompson – che lessi tempo fa e che mi fece una piacevole impressione.

22 Aprile 1958
57 Perry Street
New York City

Caro Hume,

Cerchi consiglio: ah, che cosa assai umana e rischiosa da fare! Sicché dare consiglio a un uomo il quale si chiede che cosa fare della sua vita sottintende qualcosa di molto vicino all'egomania. Presumere di indirizzare un uomo sulla giusta e definitiva meta - puntare con un dito tremante nella GIUSTA direzione è un qualcosa che solamente uno sciocco si sentirebbe di fare.

Non sono uno sciocco, ma rispetto la tua sincerità nel chiedere il mio consiglio. Ti domando tuttavia, nell'ascoltare quello che ho da dire, di rammentare che ogni consiglio non è altro se non il prodotto di chi te lo fornisce. Quello che è vero per uno, potrebbe rivelarsi disastroso per un altro. Non vedo la vita attraverso i tuoi occhi né tu la vedi con i miei. Se dovessi tentare di darti un consiglio specifico, sarebbe la stessa cosa di un cieco che ne guidasse un altro.

"Essere, o non essere, questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente soffrire colpi di fionda e dardi d'atroce fortuna o prender armi contro un mare d'affanni..."
(Shakespeare)

E di fatto, questo è il dilemma: se venire trasportati dalla corrente o nuotare attivamente verso una meta. E' una scelta che dobbiamo fare tutti, consciamente o inconsciamente, ad un certo punto della nostra vita. Così in pochi se ne rendono conto! Ripensa alle decisioni importanti che hai fatto in passato: potrei sbagliarmi, ma non vedo come non possano essere state, per quanto anche indirettamente, una tra le due opzioni che ho menzionato: "il lasciarsi trasportare o il nuotare".

Ma perché non lasciarsi trasportare, se non si ha una meta? Questo è un altro grattacapo. E' indubbiamente più piacevole farsi trasportare dalla corrente anziché nuotare nell'incertezza. Perciò, come fa uno a trovarla, una meta? Non un castello fra nuvole, ma una cosa reale e tangibile. In che modo uno può essere sicuro di non stare andando dietro a una "colossale montagna fatta di zucchero filato", un'invitante dolce meta che in vero è insipida e senza sostanza?

La risposta - e, in un senso, la tragedia della vita - è che cerchiamo di capire la meta ma non la persona. Ci poniamo un obiettivo che ci richiede certe cose: e noi le facciamo. Ci regoliamo alle istanze di un concetto che NON PUO' essere valido. Poniamo che da bambino volessi fare il pompiere. Mi sentirei di affermare con una certa sicurezza che ciò non sia più il caso. Per quale motivo? Perché la tua prospettiva è cambiata. Il "pompiere" è rimasto il medesimo, ma tu no. Ogni persona è la somma totale delle sue risposte all'esperienza. Come le tue esperienze variano e si moltiplicano, tu divieni una persona differente, dunque la tua prospettiva si modifica.

Perciò, non parrebbe sciocco l'accordare le nostre vite alle pretese di una meta che vediamo ogni giorno da un'angolazione differente? Cosa potremmo sperare di ottenere se nonché una nevrosi galoppante?

La risposta, allora, non deve riguardare affatto dei traguardi, non traguardi tangibili, almeno. Servirebbero pagine e pagine per sviluppare pienamente questo tema. Dio solo sa quanti libri sono stati scritti su "il significato dell'uomo" e simili, e Dio solo sa quanti hanno ponderato la questione (uso il termine "Dio solo sa" puramente da espressione). Ha veramente poco senso il mio tentativo di fornirti un succinto e lapidario prontuario a riguardo, poiché sono il primo ad ammettere la mia completa mancanza di qualifiche per approssimare il senso della vita in uno o due paragrafi.

Mi terrò alla larga dalla parola "esistenzialismo", ma se ti aiuta, sii libero di tenerla come possibile riferimento. Potresti anche provare qualcosa del genere di "Essere e Nulla" di Jean-Paul Sartre, e un'altra cosetta come "Esistenzialismo: Da Dostoevskij a Sartre". Questi sono semplicemente suggerimenti. Se sei genuinamente soddisfatto di chi sei e di che cosa fai, allora stanne alla larga (non svegliare il can che dorme). Ma torniamo a noi. Ripeto, porre la nostra fede in obiettivi concreti sembra, alla meglio, superficiale. Quindi non aspiriamo a diventare pompieri, non aspiriamo di diventare banchieri, né poliziotti, né dottori. ASPIRIAMO A ESSERE NOI STESSI. 

Ma non fraintendermi. Non voglio dire che non possiamo ESSERE pompieri, banchieri, o dottori; però dobbiamo fare in modo che sia la meta a conformarsi all'individuo e non l'individuo alla meta. In ogni uomo, eredità e ambiente si sono combinati per produrre una creatura con certe abilità e desideri, compreso un profondo e radicato bisogno di funzionare in una maniera che renda la sua vita SIGNIFICATIVA. Un essere umano deve ESSERE qualcosa, deve importare.

Per come la vedo io dunque, la formula recita qualcosa tipo: "Uno deve scegliere una via che permetterà alle sue CAPACITÀ di operare al massimo grado verso la gratificazione dei suoi DESIDERI. Nel fare ciò, egli sta soddisfacendo un bisogno (assegnandosi un'identità che opera attraverso un percorso ben preciso in vista di un meta), evita di vanificare il suo potenziale (scegliendo un percorso che non ponga limiti alla sua crescita) e rifugge il terrore di vedere la sua meta svigorire o perdere il suo fascino man mano che le si avvicina (anziché piegarsi alle esigenze di ciò che persegue, egli ha adattato la sua meta per conformarsi alle sue abilità e ai suoi desideri).

In breve, egli non ha dedicato la sua vita a raggiungere un meta predefinita, ma piuttosto ha scelto uno stile di vita che SA gli recherà piacere. La meta è assolutamente secondaria: è il viaggio che conta. E suona quasi ridicolo dire che uno DEVE muoversi su una rotta che egli stesso ha deciso; giacché lasciare che qualcun altro definisca i tuoi scopi equivale ad abdicare uno degli aspetti più significativi della vita: il definitivo atto di volontà il quale fa di una persona un'individuo.

Supponiamo che tu pensassi di poter scegliere tra otto sentieri da intraprendere (tutti sentieri predefiniti, ovviamente). E supponiamo che tu non possa scorgere una genuina finalità in nessuna delle otto. DUNQUE - e qui risiede l'essenza di tutto quello che ho detto - tu DEVI TROVARE UN NONO SENTIERO.

Naturalmente, ciò è più facile a dirsi che a farsi. Hai vissuto una vita relativamente circoscritta, un'esistenza verticale piuttosto che orizzontale. Quindi non è troppo arduo comprendere perché tu ti senta in questo stato. Ma chi procrastina nelle proprie DECISIONI finirà inevitabilmente col farsi dettare le scelte dalle circostanze.

Per cui, se ora ti annoveri fra i disillusi, ebbene non hai scelta se non accettare le cose come stanno, o ricercare seriamente delle alternative. Ma guardati bene dal ricercare una meta: ricerca uno stile di vita. Decidi come vuoi vivere e vedi cosa puoi fare per guadagnarti da vivere ENTRO quella cornice di vita. Però tu mi dici: "Non so dove guardare; Non so che cosa devo cercare".

E qui sta nodo della questione. Vale la pena rinunciare a ciò che ho per cercare qualcosa di meglio?  Ne vale - non ne ho la più pallida idea - ? Chi può prendere quella decisione all'infuori di te? Ma anche solo DECIDENDO DI CERCARE ti farà compiere passi da gigante verso la tua scelta finale.

Se non mi fermo qua, finisco a ritrovarmi con lo scrivere un libro. Spero che, quanto finora esposto, non risulti come a una prima occhiata, confusionario. Tiene a mente, beninteso, che questo è il MIO MODO di vedere le cose. Dal mio punto di vista, penso che quanto detto si applichi generalmente in maniera favorevole, ma potresti di essere di un altro avviso. Ciascuno di noi deve fondare il proprio credo - questo semplicemente capita di essere il mio.

Se c'è qualunque cosa chi ti sembra non tornare, non farti problemi a segnalarmelo. Non sto provando a mandarti allo sbaraglio in cerca della gloria, ma voglio semplicemente renderti conscio del fatto che non sei tenuto necessariamente ad accettare le scelte così come la vita te le ha imposte. C'è molto più di questo - nessuno DEVE fare qualcosa che non vuole per il resto della vita. Ma se, nondimeno, è questo che finirai a fare, convinciti a ogni costo che non AVEVI scelta. Sarai in buona compagnia.

E con questo è tutto, per adesso. In attesa di una tua risposta, 

il tuo amico,

Hunter















Hume, c’è posta per te!

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Il rifiuto di una lode è il desiderio di venire lodati due volte.

François de La Rochefoucauld

Touché

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il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. È per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione.

Milan Kundera – L’insostenibile leggerezza dell’essere

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Quattrocentomila (e passa) pensieri… al secondo, ogni secondo. Un numero impensabile – specie se riferito a soggetti che a comporre quattro pensieri coerenti in croce (al giorno) sarebbe già un miracolo dei più portentosi – . Nondimeno il nostro cervello è effettivamente tale gargantuesco generatore di pensieri; in prevalenza ipotesi, proiezioni, scenari – che vengono elaborati nello sfondo, al livello del subconscio – sullo svolgersi più probabile, in base all’esperienza, degli eventi che di volta in volta, di attimo in attimo, viviamo.

Un tantino inquietante il fatto di sapere di non sapere affatto quello che ci frulla nella testa, eh? D’altra parte, sarebbe a dir poco problematico contemplare di petto la totalità di quei quattrocentomila pensieri, simultaneamente…

Insomma, volenti o nolenti, entro la camera oscura della nostra scatola cranica, prende incessantemente piede un monologo, un monologo interiore. E di quale bizzarro caleidoscopio di immagini, parole e ricordi questo vero e proprio flusso di coscienza si tratti, gente del calibro di Joyce ne ha profusamente e magistralmente reso la più vivace e impressionante testimonianza scritta, tanto che mi verrebbe da dire che c’è un “Ulisse” in ognuno di noi, un’odissea personale – in quanto di fattura e contenuto differenti per ciascuno – che avrà il suo compimento solamente con la morte.

Queste parole e queste frasi sono trascrizione del monologo che si sta dispiegando ora nella mia mente. Esse si materializzano di punto in bianco alla coscienza, pronunciate con il suona della mia voce. Pare un processo similmagico. Queste parole e queste frasi le sento mie e non mie allo stesso tempo: prendono forma nella mia testa, è vero, tuttavia non riesco davvero a scrollarmi di dosso l’inequivocabile sensazione di essere semplice veicolo passivo del loro manifestarsi… più che l’autore dei miei pensieri, mi vedo più come l’interprete/portavoce di pensieri che, in un modo o in un altro, sono rimasti intrappolati nei meandri labirintici della mia mente (da qui l’importanza di badare bene a ciò che ci viene sussurrato nelle orecchie – in particolar modo se da voci suadenti – poiché potrebbero innestarsi e attecchire fino alle radici più profonde del nostro intelletto, infestando il nostro pensiero, finendo quindi col dominare il nostro agire).

Di fatto, a riprova della natura intrinsecamente involontaria, spontanea del pensare, pensiero e consapevolezza non procedono di pari passo, la seconda giunge a posteriori, allo scemare del primo: quante volte vi è successo di venire posseduti da un pensiero per un paio di minuti buoni, realizzando per l’appunto solo dopo tale lasso di tempo di avere avuto la mente occupata da quel pensiero? Un’esperienza che per quante volte la si sperimenti non manca mai di sorprendere.

Ho detto “pensiero”, ma sarebbe più accurato dire “pensieri”. Non soltanto, come accennato all’inizio, si dà il caso che nella nostra testa si accalchino ininterrottamente una moltitudine di pensieri distinti, inoltre a ciò, per sua stessa costituzione, un pensiero non è mai a sé stante, isolato, bensì ogni pensiero è associato, aggregato ad altri pensieri a formare (quello che mi piace pensare) un grappolo che a sua volta è collegato ad un altro grappolo e così via, finendo per formare un immenso groviglio: una selva di concetti, idee, raffigurazioni, desideri…

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AI: l’ascesa di un nuovo oracolo

AI: l'ascesa di un nuovo oracolo

AI: l’ascesa di un nuovo oracolo

Dall’alba dei tempi l’essere umano, messo di fronte all’evidenza della sua essenziale impotenza nel comprendere e gestire fino in fondo la caoticità del sistema mondo, ha avvertito il recondito bisogno di affidarsi a qualcosa o a qualcuno, il divino, la natura, di più grande di lui, che lo traesse fuori dall’oscurità epistemologica in cui di volta in volta si trovava inevitabilmente immerso: l’esito di una guerra importante, la durata di una tremenda carestia o, più genericamente e onnicomprensivamente, il fato in serbo. E qualora la rivelazione non fosse stata allineata, favorevole, agli interessi di parte, il passo consequenziale era quello di carpire a ogni costo il sapere atto a ribaltare l’avverso pronostico: in che modo assicurarsi la vittoria? che cosa fare per mettere fine alla penuria? come mutare il corso del destino? Insomma, è in noi intrinseco il desiderio, la smania anzi, di controllo, dominio, potere, che si esplica in un inesausto conato alla conoscenza.

E, come accennavamo, quando il sapere ricercato esulava dalle possibilità conoscitive dell’individuo o della comunità, e che pertanto non poteva venire attinto che per mezzo di un tramite speciale, ci si rivolgeva a figure ambivalenti quali quelle dello stregone, del santone, dello sciamano, del sacerdote, dell’oracolo; tutti soggetti accomunati dal fatto putativo di intrattenere un rapporto privilegiato con forze ed entità extramondane. Detentori di uno sguardo in grado di squarciare la cortina dell’imperscrutabile avvenire, custodi gelosi di conoscenze arcaiche e arcane, unici ponti tra la dimensione mortale dell’uomo e quella eterna della divinità. Essi erano oggetto di venerazione e nei loro confronti si riversava un misto di deferenza, meraviglia e timore, non per nulla si trattava di personaggi altolocati, al pari, se non più influenti delle figure regnanti: schiere e schiere pendevano dalle loro labbra, chi in cerca di risposte, chi di conferme, chi di conforto, chi di salvezza, chi di felicità, chi di speranze, chi di potere, chi di vendetta.

Con il passare dei secoli, dietro la spinta del progresso scientifico-tecnologico, ci siamo allontanati, senza malgrado emanciparcene totalmente ( si pensi alle sacche di superstizione rappresentate dall’astrologia e della cartomanzia), dal magico influsso proveniente dalla prospettiva di ricevere manforte da forze che in un modo o nell’altro trascendono la nostra natura di limitate creature umane. Ma sapete qual è il colmo? Per ironia della sorte, è esattamente dal pieno concretizzarsi del pensiero razionalistico, il quale ha messo in moto un processo di secolarizzazione su larghissima scala, che viene l’impulso generatore che darà avvio a una nuova era di superstizione (collettiva e istituzionalizzata), una che, diversamente dalle tradizionali superstizioni, non si fonderà su presupposti magici e soprannaturali ma su solidissime basi scientifiche, tecniche e informatiche.

Una superstizione/credenza/fede razionale, per quanto paradossale possa suonare…

E il nuovo oracolo, il nuovo Verbo, il nuovo Messia, prende il nome di “intelligenza artificiale” (comunemente riferito con l’acronimo inglese “AI“). Termine un tempo circolante esclusivamente tra gli addetti ai lavori è ora gergo di dominio e utilizzo anche da parte del grande pubblico. Alexa, Siri i casi più eclatanti di intelligenze artificiali entrate a far parte del quotidiano (per non menzionare i vari algoritmi che governano il corretto funzionamento e sostentamento dei colossi del web su cui al giorno d’oggi facciamo così tanto affidamento: Google, Facebook, Amazon, Youtube ecc. anch’essi annoverabili nella vasta e variegata categoria delle AI). Scettici che il vostro cellulare possa assurgere alla veste mitica di oracolo, e dispensarvi preziosi consigli su aspetti salienti della vostra vita? Be’, in effetti non è questa la casistica che ho in mente quando voglio tracciare il paragone tra la tecnologia AI e la figura dell’oracolo (anche se, a onor del vero, la scelta del partner non mi sembra una questione delle più triviali. Dico questo poiché da qualche parte ho letto di una ricerca che ha evidenziato come una discreta percentuale delle coppie formatesi negli ultimi anni abbiano avuto la loro origine in rete). Più che altro, mi riferisco ad AI alle dipendenze di pesi massimi del mercato economico mondiale, di laboratori di ricerca scientifica all’avanguardia, di importanti istituzioni finanziarie e, va da sé, AI di proprietà di governi e stati nazionali.

L’analogia AI-oracolo arriva tuttavia fino a un certo punto. Se è vero che l’oracolo, per una sorta di elezione divina, traeva il suo scibile in seno a una sorgente di natura metafisica, l’intelligenza artificiale riesce a fare quello che riesce a fare – fornirò qualche esempio in un secondo momento – per cause assai terrene e intelligibili, in un processo per nulla estroso o entusiasmante, ma che al contrario definirei banale e tedioso. Come viene alla luce un oracolo moderno? Per semplificare, dando in pasto a un programma una moltitudine esorbitante di dati, modelli, esempi (adeguati si spera) su cui “ruminare” e familiarizzare. Semplice e puro apprendimento via esperienza, in sostanza. Qualcosa che ci riesce bene, uno dei tratti caratteristici della nostra specie: imparare (per operare sempre più efficacemente sull’ambiente, sopravvivere, prosperare). Bravi senz’altro ma, com’è naturale che sia, oltre una data soglia cognitiva non possiamo proprio spingerci: come un dato motore è in grado di sprigionare solo un determinato numero di cavalli vapore, il cervello umano presenta dei limiti strutturali e funzionali e non è fatto per gestire ed elaborare contemporaneamente moli e moli di dati. È esattamente qui, dove noi dobbiamo cedere il passo, che entrano in gioco le macchine e ci fanno mangiare rapidamente la polvere: esse dispongono di una potenza di calcolo migliaia di volte la nostra – da prendere più come iperbole che come fatto assodato, comunque sia deve trattarsi quasi sicuramente di una proporzione non indifferente – (un divario che, neanche a dirlo, non cesserà di ampliarsi), che adibiscono interamente all’ultimazione (non stop) di uno scopo o gerarchia di scopi.

Come anticipato, il risvolto teorico che sta dietro il funzionamento delle cosiddette superintelligenze non posa su chissà quali nebulosi principi, anzi, ma, ciò nonostante, i frutti prodotti dal loro impiego sono certamente impressionanti. In ambito medico, abbiamo intelligenze artificiali capaci di rilevare e quindi diagnosticare (con perizia superiore a qualunque medico umano) in largo anticipo – cosa di notevole importanza – la formazione di cellule tumorali; nei trasporti, ci dirigiamo verso città e metropoli percorse da auto con a bordo solamente passeggeri; ai giochi strategici, da tavolo, quali scacchi e go, ormai non c’è più partita, ci hanno surclassati (se siete del parere che ciò non sia un granché significativo, ripensateci: sono contesti aperti a letteralmente milioni di variabili e possibilità!); accidentalmente, inoltre, contribuiscono all’arricchimento del nostro armamentario di conoscenze scientifiche, facendo nuove scoperte (qualche tempo fa, ho letto di un AI che setacciando, mettendo ordine a vari papers ovvero pubblicazioni accademiche, è riuscita a individuare la fattibilità di un nuovo tipo di materiale), il che è comprensibile: nessuno scienziato potrebbe, per quanto multidisciplinare e stacanovista, essere a conoscenza di tutte le nozioni, teorie (vecchie e nuove), dei dibattiti, delle ricerche (e relativi risultati) in corso nel mondo, nel proprio campo, figuriamoci in quello degli altri, e comunque sia, nessuna mente umana potrebbe mai e poi mai contemplare tale immensità (sempre crescente) di input disponibili…

Gradualmente, la componente AI permeerà ogni filamento del tessuto societario, umano, e da utile strumento potrebbe finire a elevarsi a imprescindibile presupposto al funzionamento e progredimento della civiltà umana in tutte le sue manifestazioni. Come nei confronti degli antichi oracoli, in questo ipotetico scenario, porremo una fiducia incondizionata all’autorità decisionale delle future intelligenze artificiali, delegheremo al loro giudizio ogni scelta di peso, sia a livello micro, individuale (il percorso di studi, la carriera lavorativa ecc.) sia a livello macro, collettivo (provvedimenti, regolamenti, leggi da adottare).

Siamo a cavallo di un epocale cambio di paradigma sociale, uno votato a un più che mai forte determinismo. Sono dell’idea che l’intelligenza artificiale abbia tutte le carte in regola per rivelarsi il propulsore di un benessere che di gran lunga valica ogni più nostra fervida immaginazione e aspettativa, e, verosimilmente, costituirà il nostro asso nella manica, la nostra ultima spiaggia nella risoluzione di problemi che semplicemente vanno al di là delle nostre possibilità. Ma ciò non toglie il fatto che tale tecnologia porterà con sé radicali cambiamenti, che, nel bene o nel male, stravolgeranno irrimediabilmente il nostro modo di vivere. E noi abbiamo il dovere morale di non distogliere lo sguardo, di stare all’erta: per far sì che ciò cui acquisiamo non comporti in cambio la perdita di qualcosa in verità molto più importante… d’altronde, è risaputo: oracoli et similia non di rado erano soliti esigere dei sacrifici (umani), anche in numero elevato…

Non scordiamo mai, infine, che il responso delle AI non è intrinsecamente infallibile ma può essere suscettibile a errori (sistematici). L’esecuzione di compiti e operazioni potrà pure essere perfetta, tuttavia, se le premesse sulle quali queste ultime poggiano sono anche solo parzialmente viziate, vuoi da pregiudizi, vuoi da fallacie logiche, ecc., ciò inficerà fatalmente sulla validità e sostenibilità dei risultati ottenuti.

E le premesse siamo noi.

Le AI amplificheranno esponenzialmente ciò che siamo: e se è vero che si raccoglie ciò che si semina, ebbene, ci conviene davvero, fin da subito, dare il buon esempio, letteralmente…

AI Oracolo

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Può darsi il caso che ciò a cui aneliamo non sia tanto venire amati quanto venire compresi.

George Orwell – 1984

Amore o Comprensione?

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Libero arbitrio

Libero arbitrio

Francamente, non riesco a comprendere cosa vogliano dire le persone quando parlano della libertà del volere umano. Percepisco, per esempio, che ho volere di qualcosa o  di altro; ma quale relazione questo abbia con la libertà, proprio non lo capisco. Avverto il volere di accendere la mia pipa e lo faccio; ma come posso connettere questo con l’idea di libertà? Che cosa c’è dietro l’atto volitivo di accendere la pipa? un’altro atto volitivo? Schopenhauer disse una volta: “l’uomo può fare ciò che vuole, ma non ha volere su ciò che vuole”.

Albert Einstein

Agli  albori della mia attività speculativa – passatemi con indulgenza il termine-, qui su wordpress (cade a momenti il terzo anniversario de La Cosa In Sé), avevo indagato sull’arcaico quanto onni-suggestivo concetto di destino; inizialmente assecondando, per gioco, con una sospensione dell’incredulità, la sua narrativa mitologica di ordito ineluttabile che domina l’universo, concludendo poi in un più sobrio realismo, con la considerazione che solamente il duo antitetico nascita-morte può qualificarsi come destino, inteso come fatto inalterabile e fuori dal nostro volere e controllo, mentre il corpo centrale della nostra esistenza è sottoposto, nei limiti del possibile, al libero arbitrio di ognuno di noi. Una visione che tutto sommato reputavo sostenibile e risonante al sentire comune: la vita ci prescrive delle clausole imprescindibili , ma questo non toglie il fatto che siamo provvisti di voce in capitolo, nella stesura della nostra biografia.

Ma il “destino” ha voluto che incappassi in uno dei proponenti di maggiore spicco della tesi che proclama l’inconsistenza della nozione di libero arbitrio, contrassegnandola come un’illusione. Si tratta dell’eloquente Sam Harris, il conosciuto sosia di Ben Stiller -in Italia ho i miei dubbi -, filosofo, neuroscienziato e saggista americano.

Leggere il suo libretto, succinto sì, ma per niente insulso, Free Willè stato davvero un’esperienza folgorante, che ha cambiato una volta per tutte le carte in tavola: a sfavore del libero arbitrio. Altolà! Restate boni un secondo prima di strapparvi le vesti dallo sdegno e con la bava alla bocca, e sparare a zero su una posizione che stimate categoricamente inammissibile. Abbiate la pazienza, la maturità, l’ampiezza mentale per ascoltare, con onestà intellettuale, le argomentazioni addotte dalla “fatale” corrente di pensiero dell’inesistenza del libero arbitrio; e chi può dirlo, forse, come me, muterete idea in merito… Ma non è questo l’importante: l’importante è mettere in discussione le proprie idee e convinzioni, per non cadere in un assopimento di coscienza e conoscenza.

Free Will

Procederò riportando, dall’opera di Harris, i passi secondo me più incisivi, che riassumono e racchiudono meglio l’asserzione dell’autore, e alla fine cercherò di “salvare la situazione” alla luce della “terribile” verità (comunque consiglio vivamente di leggere per intero Free Will; poiché, chiaramente, un semplice articolo non potrà in nessun modo sperare di rendere completamente giustizia della totalità del libro)…

I sostenitori del libero arbitrio si aspettano che l’agire umano debba magicamente innalzarsi al di sopra del piano della causazione fisica.

Sam Harris – Free Will

Indubbiamente si tratta di una superstizione che sentiamo assai viscerale e che accogliamo al volo, senza tanto riflettere, come un meccanismo di difesa, perché ci figuriamo il peggio se inseriamo l’agire umano nella naturale catena causale.

Prendetevi un momento per pensare al contesto nel quale avverrà la vostra prossima decisione: non avete scelto i vostri genitori o il tempo e il luogo della vostra nascita. Non avete deciso il vostro sesso o la maggior parte delle vostre esperienze di vita. Non avete avuto il benché minimo controllo sul vostro genoma o sullo sviluppo del vostro cervello. E adesso il vostro cervello sta facendo delle scelte basandosi sulle preferenze e convinzioni che sono state martellate in esso nel corso dalla vita – dai vostri geni, dal vostro sviluppo fisico, dal momento in cui siete stati concepito, e le interazioni che avete intrattenuto con altre persone, eventi e idee. Dove sta la libertà in questo? sì, siete liberi di fare qualunque cosa vogliate, anche in questo stesso istante. Ma da dove sono provenuti i vostri desideri?

Sam Harris – Free Will

Cosa farò di qui a un secondo, e perché, rimane, fondamentalmente, un mistero – uno che è pienamente determinato dallo stato antecedente dell’universo e dalle leggi della natura (includendo i contributi del caso).

Sam Harris – Free Will

Dichiarare la mia “libertà” equivale a dire: “non so perché l’ho fatto, ma è il genere di cosa che tendo a fare, e non mi dispiace farlo”. L’espressione “libero arbitrio” descrive cosa si prova nell’identificarsi con certi stati mentali nell’attimo in cui sorgono nella coscienza.

Sam Harris – Free Will

Considerate cosa effettivamente sarebbe richiesto per avere libero arbitrio. Dovrete essere consapevoli di tutti i fattori che determinano i vostri pensieri e le vostre azioni, e dovreste avere un completo controllo su quei fattori. Ma qui vi è un paradosso che vizia la stessa nozione di libertà – poiché, cosa influenza le influenze? Altre influenze?

Sam Harris – Free Will

Fin qui parrebbe sì, che il caro libero arbitrio non sia poi tanto libero da influenze esterne e interne (geni, ambiente, esperienze, relazioni, cervello ecc.), ma ciò nonostante un minuscolo margine di libertà sopravvive, no? L’insieme delle circostanze mi possono addurre in prurito da matti al braccio, e questa spiacevole sensazione mi influenzerà innegabilmente ad agire in qualche modo, per trovare sollievo, ma per quanto lo stimolo a grattarmi risulti irrefrenabile, posso tuttavia decidere di stringere i denti e resistere indomito all’infernale solletico, fino alla sua spontanea scomparsa, giusto? Sfortunatamente, se vogliamo essere completamente sinceri, pure il grado di volontà a nostra disposizione, in ogni particolare momento, è il risultato di fattori interni e/o esterni, che in ultima analisi si manifesta nel cervello. Necessitate di una conferma supplementare? Allora l’esperimento di Benjamin Libet (il primo di una serie) fa al caso vostro.

L’attività nella corteccia motoria del cervello può essere captata circa 300 millisecondi prima che una persona avverta la sua decisione di muoversi.

Sam Harris – Free Will

In altre parole

Alcuni momenti prima di essere coscienti della vostra seguente azione – un tempo in cui apparite soggettivamente nella più assoluta libertà di comportarvi come meglio vi aggrada -, il vostro cervello ha già determinato cosa farete.

Sam Harris – Free Will

Tutti i nostri pensieri, e pertanto ciascun nostro gesto e comportamento, sono di origine inconscia. E quello che è inconscio (fuori dalla coscienza): è, per definizione, non soggetto al controllo della ragione e della volontà. D’altro canto un’obiezione, che io stesso sollevavo, sembra ancora plausibile.

Compatibilisti come il mio amico Daniel Dennett insistono che, sebbene i nostri pensieri e le nostre azioni siano il prodotto di cause inconsce, restano comunque i nostri pensieri e le nostre azioni. Qualsiasi cosa che i nostri cervelli compiono o decidono, consciamente o meno, è qualcosa che noi abbiamo compiuto o deciso.

Sam Harris – Free Will

Sembra…

Il 90% delle cellule nel vostro corpo sono microbi. Molti di questi organismi eseguono funzioni vitali – sono “voi” in un senso lato -, sentite di identificarvi con essi? Se si comportano in modo inadeguato, siete moralmente responsabili?

Sam Harris – Free Will

In questo attimo, state prendendo innumerevoli “decisioni” inconsce, con organi diversi oltre al cervello, ma questi non sono accadimenti per i quali vi sentite responsabili. State producendo globuli rossi ed enzimi digestivi, in questo momento? Il vostro corpo si sta adoperando in tal senso, naturalmente, ma se “decidesse” altrimenti, voi sareste le vittime di questi cambiamenti, piuttosto che la loro causa.

Sam Harris – Free Will

Come possiamo essere “liberi”, in quanto agenti coscienti, se tutto quello che coscientemente vogliamo è causato da eventi nel nostro cervello di cui non abbiamo volere, e di cui siamo ignari?

Sam Harris – Free Will

Tanta roba da assimilare, eh?

Come anticipato in precedenza, ora che abbiamo cozzato per bene con la dura realtà dei fatti, vediamo nondimeno di uscirne da non fatalisti/nichilisti e forse persino con un abbozzo di sorriso sulle labbra…

Alcuni pensano che il diradarsi dell’inestimabile libero arbitrio porti via con sé anche il doveroso principio della responsabilità delle proprie azioni: se non sono realmente padrone della mia persona, allora come posso essere ritenuto responsabile delle mie azioni? posso fare quello che voglio, tanto sono giustificato? i criminali e gli assassini dovrebbero restare impuniti e liberi di commettere reati su reati, tanto sono biologicamente obbligati a fare quello che fanno? Sono chiaramente delle posizioni insostenibili. A scomparire non deve essere la responsabilità legale/giudiziaria, ma il sostrato morale/religioso di colpa e peccato che attualmente permea tale concetto.

Chi compie il male, deve essere punito, con sanzioni pecuniarie e la privazione della libertà personale (a vita, nei casi più gravi), e se possibile riabilitato (in futuro, magari potremo operare correzioni più mirate con l’ausilio di tecniche e soluzioni all’avanguardia, che andranno al punto biologico del problema), ma non deve assolutamente essere ritenuto come moralmente colpevole e quindi divenire oggetto di odio e risentimento, né da parte delle vittime e dal loro circolo affettivo, né dalla società e dalle istituzioni; poiché loro stessi vittime, ma della loro biologia – più facile a dirsi che a farsi, ma sarebbe la cosa moralmente giusta da fare.

Senza andare poi sul lato penale, riconoscere l’illusorietà del libero arbitrio ci renderebbe tutti un po’ più comprensivi e clementi con le manchevolezze e i difetti degli altri, e specialmente con i nostri; ne conseguirebbe un’esistenza psicologicamente mille volte più leggera, serena e salubre.

Inoltre

Perdere la convinzione nel libero arbitrio non mi ha reso fatalista – al contrario, ha accresciuto il senso di libertà. Le mie speranze, paure e nevrosi appaiono meno personali e indelebili. Non c’è modo di sapere di quanto potrò cambiare in futuro.

Sam Harris – Free Will

La spersonalizzazione in un’accezione positiva.

Va bene, rileggendo, ammetto che il mio tentativo di indorare la pillola non è stato un granché valido e sensazionale, mea culpa. Poco male però, perché questa esposizione vuole essere un’umile introduzione, un antipasto stuzzicante, all’opulenza e alla potenza del libro, che spero di cuore abbia acceso la curiosità e il desiderio di assaporare la portata al completo: Il Free Will di Sam Harris; che neanche a dirlo, fa un lavoro decisamente migliore del mio, nel mostrare la non tragicità che segue il disincanto dal libero arbitrio.

Nel “peggiore” dei casi, mi auguro di aver agitato le acque della vostra mente e di avervi regalato nuovi e interessanti spunti di riflessione!

 

 

 

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