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Perché Batman non uccide Joker?

Perché Batman non uccide Joker?

Perché Batman non uccide Joker?

Una domanda più che legittima. Perché l’uomo pipistrello, il protettore di Gotham, non si risolve a togliere definitivamente dalla circolazione la sua nemesi,  nonché il più sadico e sanguinoso criminale della città, il disumano pagliaccio?

Il detective migliore del mondo dovrebbe essere già da tempo giunto all’ovvia conclusione che la cosa più logica da fare sarebbe quella di spezzargli il collo: nessuna struttura detentiva può sperare di contenerlo a lungo, evaderà ogni volta; a differenza degli altri criminali, non è dietro ai soldi e alle ricchezze, ma ha disperato bisogno di divertirsi, di farsi quattro risate, sulla pelle della gente, inscenando i suoi “esilaranti” spettacoli/giochi, che, senza eccezioni, si lasciano appresso una scia inconfondibile di morte, sofferenza e paura; inutile accennarlo ma: difficilmente avrà mai un cambio di coscienza.

Ciò che lo frena è il suo inamovibile codice etico: si è imposto, nella sua crociata contro il crimine, di non uccidere in nessunissima circostanza,  per nessunissima ragione, mai. Ammirevole. Ma nell’osservare fino in fondo questa legge morale in lui, Batman fa la cosa giusta? Egli sa benissimo che ,ogni qualvolta risparmia la vita del clown,  sta praticamente condannando quella di innumerevoli persone (può fare del suo meglio, ma non può salvare tutti; nemmeno Superman, dotato com’è di superpoteri, può farlo)… Deve essere un gravoso peso per la coscienza.

Allora perché? In fin dei conti si tratta di una vita, quella dell’infame Joker, al posto di quella di molti, si presume, innocenti – uno scambio più che equo – …

Il Cavaliere Oscuro – per quanto ne so – ha addotto due ragioni a favore del suo reciso diniego.

Nessuna differenza

Imporporarsi le mani significherebbe sprofondare al medesimo abisso di bestialità e meschinità: non sarebbe migliore di lui, ma come lui un assassino.

Punto di non ritorno

Batman è un eccelso combattente, tra i più forti artisti marziali del pianeta. In altri termini, conosce mille e più modi per colpire, incapacitare e distruggere il corpo umano (che abbonda di punti deboli, vitali).

Lasciarsi andare, e perciò uccidere, gli risparmierebbe un sacco di tempo, energie e inconvenevoli ; trattenersi e arrecare il minimo danno, è assai impegnativo (specie se il nemico è altamente capace e non è vincolato dagli stessi riguardi). Tuttavia, quella linea non deve essere sorpassata. Se si vuole conservare la propria integrità, la propria umanità, quella linea non deve essere sorpassata: chi uccide (volontariamente) una volta, sarà meno inibito e quindi più propenso a uccidere nuovamente, presentandosi l’occasione – l’asticella dell’ammissibilità si abbassa progressivamente e in fretta – . E per il nostro vigilante mascherato, esposto giornalmente, e quasi senza tregua,  a violenza e crudeltà di ogni genere, il passo discendente verso una spirale infinita di cruenti massacri è breve…

Dunque: è Batman nel giusto, nella scelta di non uccidere Joker? È da biasimare o è da lodare? È da rispettare o è da ripudiare?

A voi la sentenza…

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Naturale = Buono

Naturale = Buono

Naturale = Buono

Un’equivalenza che è un equivoco, un malinteso diffuso e radicato che tende a screditare l’operato di alcuni campi della scienza e intralciarne il vitale progresso. È come se il pensiero comune adottasse nei confronti della natura un culto del divino rimasuglio dei tempi antichi: una madre buona e amorevole.

È naturale, quindi è buono; è buono, deve essere naturale.

Un dogma bello e buono.

Naturale è semplicemente qualcosa di non creato/indotto artificialmente. Non vi sono, né sono necessarie e opportune connotazioni aggiuntive; men che meno una considerazione imbevuta fino all’orlo di aprioristica validità e bontà etica… 

La natura è amorale. No, anche questo è cadere nell’abbaglio di personificare la natura…

Dobbiamo ricordarci che la natura non è un’entità, ma un’astrazione, una categoria che sta per l’insieme delle leggi, delle forze e dei processi che stanno alla base dell’universo, e dunque di ogni essere vivente e cosa inanimata, e che lo plasmano incessabilmente dalla notte dei tempi.

La natura è un lavoro in corso che semina frutti di qualunque varietà: dolci, aspri e amari; non è una granitica Bibbia che dispensa amore e giustizia. 

Ne deriva che, andare contro natura – quant’è demonizzata questa frase? -, deviare dal naturale, manipolare, modificare: non costituiscono di per sé, intrinsecamente, un male!

Ciò può essere complicato? delicato? pericoloso? Sì, sì e ancora sì. Solo un folle potrebbe negarlo. Dobbiamo essere estremamente cauti e coscienziosi, su questo non ci piove, ma ne vale la pena. Dico di più: per quanto è in nostro potere, per quello che concerne il miglioramento delle condizioni di vita umane, abbiamo il dovere morale di supplire alle mancanze e magagne della natura.

Attenzione però, qui non si tratta di sminuire la natura e mitizzare l’attività dell’uomo – la qual cosa sarebbe unicamente ridicola – , ma di rigettare con decisione una concezione manichea e dualista del reale, che vorrebbe contrapporre e ridurre ottusamente e dannosamente la physis, benigna, da un lato, e la téchne, maligna, dall’altro…

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Il male deve perdere?

Il male deve perdere?

Il male deve perdere?

È un bene che sia inderogabilmente il buono, il bene a emergere vittorioso e giubilante, dall’eterno scontro con le forze del male? 

È beninteso che il discorso è indirizzato esclusivamente alla dimensione fittizia della quarta parete, siccome nella nostra “parete” la stessa legge non è altrettanto inderogabile ,né comunque sarebbe in discussione la sua desiderabilità: chi sarebbe mai contrario a un mondo, in cui il giusto, ovunque esso dimori,(disgraziatamente, la distinzione fra bene e male, giusto e sbagliato, non sempre così netta) facesse come matematicamente il suo corso? Ciò vuole forse sottintendere che trovo controverso che il valoroso e intrepido eroe debba, a ogni epilogo, trucidare con successo il malvagio drago sputa fuoco?

l'eroe trucida il drago

Affermativo.

Una riserva che credo di incubare da quando ero piccino, sebbene all’epoca germinò più in risposta alla monotonia di sapere fin dal principio l’esito di ogni confronto tra bene e male, che a un sincero interessamento etico alla questione…

Il cattivo è di gran lunga superiore in ogni rispetto? ha messo a punto un meticoloso e geniale piano? è fervente e animato quanto la benevola controparte? Chissene! La sceneggiatura tipo: il buono viene messo alle corde, è in ginocchio, ma piuttosto che finirlo sul posto, senza fare tante cerimonie, infliggendogli  il colpo di grazia, cosa fa il cattivo? comincia a perdersi in chiacchiere, cimentandosi magari in un monologo filosofico sullo degenerato stato del mondo o su uno concernente la deviata natura umana… E conosciamo fin troppo bene il successivo dipanarsi degli eventi: l’improbabile rimonta del moribondo eroe, sulla scia di salienti flashback o dietro l’impulso di un rinnovato senso di dovere, di giustizia, di amicizia, di amore e chi più ne ha più ne metta… Insomma, il miracoloso guizzo di vitalità che consacra il trionfo del prode paladino.

Ecco, a un certo punto devo averne avute le scatole piene, di assistere ogni santa volta al medesimo copione di fondo; ma il rospo, in un modo o nell’altro, anche se amaro, venne ingoiato. Per quanto il finale di qualsivoglia storia sia ripetitivo e pronosticabile, troncare con film, telefilm, anime e manga, come a suo volta pronosticabile, non si è dimostrato possibile…

Va tutto bene – mi direte-, ma dove sta il problema? è per caso nocivo, sorbirsi fin dalla tenera età, un indottrinamento del lieto fine “e vissero tutti per sempre felice e contenti”? Potrebbe.

Un conto è enfatizzare l’importanza di nutrire valori e virtù morali, con l’intento di plasmare un mondo migliore, un altro è portare all’eccesso un buon proposito, deificandolo a dogma divino. Un trapianto nella coscienza collettiva di un ottimismo incondizionato nel futuro, che induce ad abbassare la guardia, a sottovalutare le difficoltà e a sopravvalutare le proprie capacità e risorse, o peggio ancora, a pensare che tutto fili liscio come l’olio, mentre sarebbe il momento opportuno di guardarsi realmente attorno e agire per sventare un domani catastrofico, o ancora, nascondere lo sporco sotto il tappeto, non facendo assolutamente nulla e senza avere un preciso programma d’azione per l’avvenire, poiché sentitamente convinti di poter sistemare ogni possibile impiccio a tempo debito (suona terribilmente familiare?), che tutto andrà per il meglio…

Sto suggerendo di scrivere, e quindi inscenare, pure epiloghi infelici? Sì, perché no? Dura però immaginarselo, vero? a riprova del fatto che si tratta di un costume molto radicato.

Epiloghi infelici

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L’ingrato dilemma del carrello (ferroviario)

L’ingrato dilemma del carrello (ferroviario)

Un carrello ferroviario fuori controllo è in rotta di collisione con 5 persone (legate ai binari?), il tempo stringe, bisogna agire, ci guardiamo disperatamente intorno e per fortuna localizziamo la leva del deviatoio, che appunto dovrebbe deviare la corsa del mezzo, evitando così una strage,  o almeno in teoria, poiché, neanche il momento di prendere un sospiro di sollievo, ci accorgiamo che sul tragitto alternativo vi è un’altra persona (anch’essa immobilizzata?), ma ormai siamo agli sgoccioli, l’impatto è imminente, questione di una manciata di secondi, l’urlo e il pianto dei cinque malcapitati si fa via via più assordante ed atroce: implorano di essere salvati, con il cuore alla gola ci supplicano di azionare la leva… che fare? Se decidiamo di scambiare binari, condanneremo alla morte una persona, se invece ci rifiutiamo, saranno cinque le persone  a essere condannate a una fine orribile e dolorosa. Qual è la scelta giusta? Questo il quesito dell’esperimento mentale di filosofia etica, ideato da Philippa Ruth Foot nel 1967, nominato “il dilemma del carrello ferroviario“.

Che cosa è emerso dai sondaggi? Il 90% ha dichiarato di essere disposto a sacrificare una vita per salvarne cinque, e che questa sia la cosa migliore da fare; ma ne siamo anche veramente sicuri dal punto di vista etico? Dato che è questo il campo di pertinenza del problema…

Cominciamo dallo stabilire che cosa s’intende con morale, e successivamente “cosa” lo e. Di norma l’aggettivo “morale” è identificato con qualità tipo: giusto, buono, bello; però giusto, buono, bello per chi o cosa? per un soggetto? un gruppo (maggioritario) di soggetti? per una società o civiltà? oppure per una scrittura religiosa? Ebbene, dove risiede la pura fonte della morale?

Dentro di noi.

La natura ha posto in essere, in ogni essere senziente, una più o meno vasta e articolata dimensione morale. A quale scopo? Per favorire la cooperazione e la prosperità fra gli individui di una stessa specie. Uno strumento di prevenzione nei confronti di atteggiamenti lesivi al benessere collettivo. E non possiamo negarlo: dentro di noi, sappiamo, avvertiamo o meglio, tutti allo stesso modo, inevitabilmente ed inequivocabilmente (salvo eventuali condizioni/patologie mentali), la moralità o immoralità di una situazione o decisione; poi possiamo essere inclini o meno a seguire questo innato istinto morale, possiamo essere assordati o meno dal vocio insistente dei nostri pregiudizi, possiamo essere succubi o meno della nostra identità culturale, e tutto ciò può benissimo interferire e affievolire il segnale morale, ma ciò non toglie che dentro di noi dimori una voce morale il cui compito è sussurrare la retta via da seguire…

Ora rimane da capire «l’ubicazione» della moralità: essa si trova nell’intenzione del soggetto, nell’azione stessa o nel risultato aspettato (anche se quest’ultimo potrebbe essere assimilato nel primo,  dal momento che l’intenzione sottintende il desiderio di raggiungere un certo risultato)?

Bé, chiaramente la maggioranza degli intervistati, al dilemma, sposa l’orientamento al risultato finale, un esito totalmente in linea con quanto programmato dalla natura, ma non ritengo che questo sia il “luogo” della morale e dell’etica; decidere di risparmiare cinque vite al costo di una sola, è cioè massimizzare la soddisfazione e il benessere generale , è una risposta corretta dal punto di vista logico, naturale se vogliamo (quanto approfittare di una promozione al supermercato), ma non morale. Dal mio punto di vista, la moralità (o non) è, in ordine di attribuzione, nell’agire (o non), mentre l’intenzione ha valore morale sole se accompagnata da relativa azione morale. Nel caso del carrello ferroviario, tirare la leva del cambio vorrebbe dire uccidere (attivamente) qualcuno, e ciò in è qualcosa di profondamente immorale, nonostante si salvino ben cinque persone.

In definitiva, la mia risposta al dilemma non è contemplata nella consegna, secondo me la decisione realmente etica è di stampo eroico: cercare fino all’ultimo di salvare tutti. Che poi convenga o sia auspicabile essere di fatto morali fino in fondo ed in ogni circostanza, questo è un altro discorso…

P.S. E  voi che cosa fareste?

 

Fonte: Wikipedia, l’enciclopedia libera

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