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Rivedendo la formula consuetudinaria per una vita sana, oltre all’accoppiata dieta varia – moderato esercizio fisico: porre e porsi domande.

Alimentare costantemente il fuoco della curiosità, indagare e non fermarsi all’immediato, mettere in discussione e non prendere per oro colato il dire altrui e il sentire nostro, essere critici prima di tutto con noi stessi. E nell’atto cruciale di puntare la lente inquisitoria su di noi, una domanda ritengo essere di capitale, di vitale importanza; forse la più importante che possiamo e dobbiamo (per il nostro bene), ciclicamente, con il cuore in mano porci: che sto combinando, della mia vita? Sto conducendo una vita che mi appartiene, o sto vivendo una vita dettata e modellata dalla volizione e dalle ambizioni di altri? La mia vita sta scorrendo cieca per puro moto d’inerzia, o è da me attivamente sospinta verso una meta ideale? Le scelte che ho intrapreso sono in sintonia con il mio essere, o sono, a un livello fondamentale, incompatibili con esso? ovvero: lo stato attuale delle cose è promotore di un ottundimento o rinvigorimento delle mie qualità? sto prosperando, avvizzendo?

Capite bene la MAGNITUDINE di tale analisi introspettiva; non desta affatto meraviglia che in pochi siano i temerari di spirito disposti a sottoporsi al più brutale degli interrogatori: non è proprio un piacevole quarto d’ora – o almeno per i più – quello speso al banco degli imputati, specie se l’udienza si propone di vagliare obiettivamente lo status della nostra esistenza…

Un sentore di pungente amarezza nell’aria, premonizione di sofferenza.  E perciò si fugge dalla domanda, la si getta, zavorrata a dovere, nel fiume dell’oblio, per impedire che essa possa riaffiorare alla superficie della coscienza, al cospetto dei nostri fragili pensieri. Un atteggiamento comprensibile. Al pari della reazione autoconservatrice che spinge la mano ad allontanarsi di scatto da una fonte eccessiva di calore, quando l’integrità psicologica di una persona è messa a repentaglio, la reazione istintuale è quella di sottrarsi dalla fonte che innesca il penoso travaglio interiore. Ma per quanto nell’immediato evitare il confronto ci possa sembrare il corso d’azione più desiderabile, poiché ci consente di mantenere un’apparente serenità, non ci sono ombre sul fatto che ciò è fallimentare, se non tragico, nel lungo periodo: tranquillo oggi, disgraziato domani. Non c’è allora alternativa. Se realmente intendiamo scongiurare l’evenienza di una catastrofe esistenziale, dobbiamo per forza di cose scomodarci, di tanto in tanto, a fare il quadro onesto e veritiero della situazione in cui versano le nostre vite e, se necessario, modificarne prontamente la traiettoria

Coraggio. Radunate tutto il coraggio e la forza di cui siete capaci: il futuro voi stessi ve ne sarà eternamente riconoscente!

Una domanda importante

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Naturale = Buono

Naturale = Buono

Naturale = Buono

Un’equivalenza che è un equivoco, un malinteso diffuso e radicato che tende a screditare l’operato di alcuni campi della scienza e intralciarne il vitale progresso. È come se il pensiero comune adottasse nei confronti della natura un culto del divino rimasuglio dei tempi antichi: una madre buona e amorevole.

È naturale, quindi è buono; è buono, deve essere naturale.

Un dogma bello e buono.

Naturale è semplicemente qualcosa di non creato/indotto artificialmente. Non vi sono, né sono necessarie e opportune connotazioni aggiuntive; men che meno una considerazione imbevuta fino all’orlo di aprioristica validità e bontà etica… 

La natura è amorale. No, anche questo è cadere nell’abbaglio di personificare la natura…

Dobbiamo ricordarci che la natura non è un’entità, ma un’astrazione, una categoria che sta per l’insieme delle leggi, delle forze e dei processi che stanno alla base dell’universo, e dunque di ogni essere vivente e cosa inanimata, e che lo plasmano incessabilmente dalla notte dei tempi.

La natura è un lavoro in corso che semina frutti di qualunque varietà: dolci, aspri e amari; non è una granitica Bibbia che dispensa amore e giustizia. 

Ne deriva che, andare contro natura – quant’è demonizzata questa frase? -, deviare dal naturale, manipolare, modificare: non costituiscono di per sé, intrinsecamente, un male!

Ciò può essere complicato? delicato? pericoloso? Sì, sì e ancora sì. Solo un folle potrebbe negarlo. Dobbiamo essere estremamente cauti e coscienziosi, su questo non ci piove, ma ne vale la pena. Dico di più: per quanto è in nostro potere, per quello che concerne il miglioramento delle condizioni di vita umane, abbiamo il dovere morale di supplire alle mancanze e magagne della natura.

Attenzione però, qui non si tratta di sminuire la natura e mitizzare l’attività dell’uomo – la qual cosa sarebbe unicamente ridicola – , ma di rigettare con decisione una concezione manichea e dualista del reale, che vorrebbe contrapporre e ridurre ottusamente e dannosamente la physis, benigna, da un lato, e la téchne, maligna, dall’altro…

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Se mi chiedessero quale fosse l’aspetto più eclatante della natura e condizione umana, risponderei che nessuna persona è forte abbastanza da sostenere il senso della sua vita senza l’aiuto di qualcosa stante al di fuori di lui.

Ernest Becker

Nessuno

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Se sei solo… se si tratta solo della tua vita, puoi farne ciò che vuoi. Essere ridotto a uno straccio, fatto a pezzettini, non importa. Ma aggiungine un’altra, la lama si appesantisce. Lottare come se la morte non ti riguardasse diventa una cosa del passato. Non si tratta più solo di te. Ho abbandonato il mio stile di vita, ho fatto affidamento sulla forza degli altri, e in qualche modo sono andato avanti.

Kentaro Miura – Berserk

Non si tratta più solo di te

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Il film più terrificante…

Il film più terrificante...

Il film più terrificante…

Il genere cinematografico dell’horror con me non ha mai riscosso particolare successo. Mostri ripugnanti, letali creature, rapitori alieni, fantasmi irrequieti, demoni possessori, serial killer psicopatici; un repertorio che sulla carta dovrebbe riservare a ognuno il suo “brividi-palpitazioni hour“, ma che a me, nei più rosei dei casi, fa scappare una risata d’incredulità o di scherno. Con questo non voglio però dare a intendere di essere al pari del Diavolo di Hell’s Kitchen un uomo senza paura o di avere nel petto un ruggente cuore da leone… più che altro sarà una mia ridotta, quasi assente predisposizione a calarmi, come si deve, nella finzione recitativa.

Però, però, da quanto si apprende dall’intitolazione di cui mi sono servito, non tutta l’erba è un fascio, tanto è vero che un’eccezione l’ho riscontrata eccome; e tenendo presente la mia “immunità” all’orrore, non può che aggiudicarsi, ai miei occhi, il titolo di film – o meglio, saga – più terrificante!

And the winner is… FINAL DESTINATION!

Solamente la Morte in persona – ultimamente devo averla tirata in ballo un centinaio di volte, ma che ci posso fare se è, per sua stessa essenza, dappertutto immischiata? – poteva instillarmi il puro orrore, l’autentico terrore…

Fu una visione che mi scosse sensibilmente.

Che c’è di più spaventoso di una forza instancabile, impercettibile ai nostri sensi mortali, che di contro ci percepisce con ineluttabile nitidezza, che si annida in ogni anfratto della realtà, anche dove ingenuamente pensiamo di rintanarci sicuri, pronta, con le sue infinite vie, a palesarsi allo scoccare di un’ora a noi sconosciuta e che sta al di là della nostra possibile comprensione?

Final Destination mi ha ribadito nella maniera più macabra e sanguinolenta – certe morti richiedevano uno stomaco non indifferente… – quanto impotenti, fragili e precarie siano le nostre vite. Ricordo – se non m’inganno, frequentavo le medie – , che per una settimana buona sono stato in piena paranoia, iper-guardingo dei miei immediati e non molto immediati paraggi:  a ogni muoversi di foglia un sussulto al core!

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Brucia mio cosmo…

 

Brucia mio cosmo...

Brucia mio cosmo…

Ardi fino ai limiti estremi della costellazione! FULMINE DI PEGASUUUS!!!

Faccio conto che il richiamo citato sia immancabilmente e immediatamente conosciuto ai più (in caso contrario, avete avuto un’infanzia manchevole…), d’altra parte, stiamo parlando di quell’indiscusso gioiello del doppiaggio italiano che porta il nome di “I Cavalieri dello zodiaco“. Un lavoro eccelso; una di quelle rarissime occasioni in cui l’adattamento sorpassa l’originale.

I Cavalieri dello zodiaco

Dialoghi aulici (si pensi alla saga delle dodici case), mamma mia, che delle volte sfiorano delle vette, ma delle vette di poeticità, che al solo pensiero… Sul serio, chiudendo gli occhi potremmo essere indotti a credere di udire il discorrere di personaggi di un poema epico, piuttosto che di quello di un cartone animato. Ma l’eloquio è solo una parte dell’equazione, perché le parole più belle del mondo non sono niente, se non veicolate dal corrispettivo trasporto emotivo, e in Saint Seiya (nome originale dell’opera) giustappunto troviamo un’interpretazione carica di pathos, all’altezza del registro linguistico.

Saga delle dodici case

Va bene, fatta la necessaria lode, veniamo al sodo di questa nostalgica reminiscenza. Trovo che I Cavalieri dello zodiaco ci possano insegnare o almeno ribadire due grandi lezioni di vita, l’una il combustibile dell’altra.

Rialzarsi sempre

Se avete visto la seria animata, vi ricorderete anche fin troppo bene l’assurda dose di mazzate cosmiche a cui i nostri cavalieri di bronzo venivano sottoposti nel corso delle loro peripezie, uno su tutti Pegasus (non che i compagni fossero da meno, ma la sua figura è troppo iconica), cavaliere della costellazione del mitico destriero alato, da cui il nome. Potevano scagliargli  addosso l’intero repertorio di attacchi speciali/finali previsti dal fantastico universo narrativo del manga; fa “nulla”: egli traballante e vacillante, con il corpo martoriato, devastato, sputando sangue a fiotti e con gli occhi spenti di un pesce esposto in pescheria, si imponeva, dico, a ogni duro e ricorrente bacio al pavimento, la posizione eretta.

Dove risieda la vera forza

L’impressione era di vedere un’inerme bambola di pezza venire brutalmente strapazzata: una successione di percosse che appariva interminabile, tale da sfiancare lo spettatore stesso. Il nemico, esplicitamente superiore in qualsiasi aspetto, passava dall’essere seccato, da quella ostinata resistenza, all’esserne completamente terrorizzato: “Come diavolo riesce a reggersi ancora in piedi? È moribondo. Da dove viene questa forza? È solo un infimo cavaliere di bronzo (ultimo nell’ordinamento di potenza, dopo oro e argento). Cosa lo spinge a sobbarcarsi e a sopportare questa valle di dolore, a rischiare la vita stessa? Non ha alcun senso.”; questi gli interrogativi che affliggono il cattivo. Ma il nostro eroe non ne fa assolutamente mistero. A Ogni colpo ricevuto, letale abbastanza da condurlo sempre più vicino alle porte dell’Ade, Pegasus esorta sé stesso, per quanto ben oltre lo stremo delle sue forze, a rialzarsi, a lottare, a vincere, non per sé, ma per la libertà, per la giustizia, per l’umanità, per il bene: per la dea Atena/Lady Isabel!

Brucia mio cosmo, ardi fino ai limiti estremi della costellazione! FULMINE DI PEGASUUUS!!!

I Cavalieri dello zodiaco ci ispirano a non cedere alle intemperie della vita, ma di raddrizzarci, come canne di bambù, dopo ogni sollecitazione; e questa tenacia, può essere maggiormente conseguita e attinta se si è in possesso di una profonda e viscerale ragione di vita, sia essa l’amore verso una persona o sia essa il preservamento/perseguimento  di un ideale: la forza ricavata dalla fonte “per me”, ti può portare soltanto fino a un certo punto, è limitata; la forza, invece, derivante dalla sorgente ” per….”, ti può portare fino ai limiti estremi e oltre, è infinita.

Per Atena

 

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Un pomeriggio la natura

Un pomeriggio la natura

Segue resoconto del nubifragio-grandinata che l’altro ieri ha riversato, dalle mie parti, tutta la sua poderosa impetuosità, e ciò che ne seguì in me.

Mercoledì pomeriggio.

Cielo plumbeo, imbottito di nuvoloni.

Sgombero la mente, mi concentro, inizio il mio quotidiano allenamento.

La natura in concerto si scatena: pioggia frustante, vento sradicante, grandine tartassante.

Un fragore inaudito.

L’animo non riesce a sottrarsi al rapimento.

Interrompo, mi affaccio alla finestra.

Un denso pulviscolo di gocce ammanta l’ambiente circostante.

Surreale.

Sorrido.

Torno al mio meschino esercizio fisico.

In quell’istanza, non ho potuto, per quanto ridicolo, fare a meno di contrapporre l’incalcolabile forza sprigionata dagli elementi alla mia di insignificante uomo. Eh niente, a momenti mi scoppiava una risa… Ho pensato: “Potrei dedicare ogni singolo secondo della mia vita, di fatto quante vite desidero, ad allenarmi strenuamente al limite delle mie capacità fisiche, ma non riuscirei neanche a generare lontanissimamente un trilionesimo della potenza che in un qualsiasi istante si è scaricata davanti a me quel mercoledì pomeriggio“.

Ma sbagliavo, come sbagliamo noi tutti quando vogliamo paragonarci alla forze naturali in termini di forza bruta; non ha senso farlo, è ovvio che in quel versante non ci sia storia. Se c’è qualcosa, a nostra disposizione, che è in grado di riequilibrare la partita, che ha qualche possibilità di rivaleggiare con le energie della natura è la mente con le sue infinite idee!

Un pomeriggio la natura

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