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Lezione Levov

Lezione Levov

Lezione Levov

Ma cos’ha la loro vita che non va?

Cosa diavolo c’è di meno riprovevole della vita dei Levov?

È con questi due interrogativi carichi di uno sgomento inarrivabile che si chiude il devastante Pastorale americana di Philip Roth.

[SPOILER?]

Un uomo, Seymour Levov, detto lo svedese, il mitico svedese di Weequahic, Newark, New Jersey, che perde tutto (disilludendosi da una rosea visione della realtà): l’adorata figlia Merry è una terrorista-bombarola-assassina convertitasi al gianismo; l’incantevole consorte Dawn, ex miss New Jersey, pare voler voltare pagina ed entrare a far parte dell’insigne casata degli Orcutt; il rispettato padre, mastro guantaio, uomo di vecchi, sanissimi principi, muore d’infarto alla vista e alle parole della nipote che confessa di aver ucciso non una ma ben quattro persone innocenti; Volendo supportare la ripresa psicofisica della moglie, si vede costretto a lasciare la sua casa di campagna, nell’idillio di Old Rimrock, simbolo della vita desiderata, una vita semplice, ordinata, “fisica”, una pastorale americana.

Ma lui non ha “colpa”, non c’è “niente” che non vada nel modo in cui ha condotto la sua vita; i Levov non sono riprovevoli (a parte il ributtante moto di paternalismo esibito dal vecchio Lou a fine romanzo…), o meglio, non è questo il punto – almeno per come la vedo io, sia chiaro – . Certo, nel processo degenerativo di Merry, a Seymour gli si può imputare la sua parte di responsabilità, ad esempio può essere rimproverato per la sua troppa tolleranza nei confronti di una figlia evidentemente disturbata e non semplicemente affetta, in modo acuto, dal travagliato periodo dell’adolescenza. Ma un tentativo di retrospezione volto a ricostruire la catena causale degli eventi che fecero sì che la tragedia si abbattesse sulla famiglia Levov, risalire cioè al momento x, alla perpetrazione del “peccato originale”, non solo è un’operazione votata al fallimento (la memoria è fallibile, non possiamo mai avere la conoscenza certa di cosa abbia scatenato cosa, ecc.) ma, in questa istanza, significa pure dimostrare di non aver colto l’essenza di quanto accaduto.

Pastorale americana non è la storia di un uomo retto che, accidentalmente, a sua insaputa, compie un peccato mortale e ne subisce il dovuto contrappasso; no: è la storia di un uomo alla cui porta viene a bussare la Realtà (il malcapitato trattiene il respiro, si trattiene dal fare il minimo rumore, vuol far credere che non ci sia nessuno in casa, spera che dopo un paio di scampanellii la guastatrice si arrenda e tolga il disturbo, ma essa non indugia in tanti complimenti, prende una lunghissima rincorsa e a gamba tesa sfonda fragorosamente la porta). Lo svedesone credeva in un mondo fatto principalmente di ordine, in un mondo di belle cose punteggiato qua e là da qualche neo trascurabile o perlomeno, sopportabile. Un mondo in cui se seminavi Bene, allora ricevevi Bene; un mondo in cui se facevi i “passi giusti”, allora finivi per ottenere la felicità del cuore e la serenità dell’anima; un mondo in cui se eri armato di un amore infinito e di una indulgenza caritatevole, allora potevi sistemare ogni cosa. Una fantasia che si è venuta gradualmente a incrinare, di crepe prima indiscernibili e poi mano a mano sempre più vistose, per attrito con la Realtà, finendo, al culmine della frizione, con il frantumarsi in mille pezzi.

Meredith Levov è incarnazione del Caos che soggiace e impregna la Realtà. Il Caos è, come noto, una forza cieca e anarchica, tanto creatrice quanto distruttrice: pretendere di domarla o acquietarla è semplicemente un controsenso, al suo cospetto non c’è ammontare (e ammantarsi) di senso e razionalità capace di reggere ai suoi violenti fendenti ; e dei bei sentimenti e delle buone intenzioni non sa proprio che farsene...

I “Perché?”, i “Che cosa ho sbagliato?”, i “È questo che mi merito?”, sono, in conclusione,  più che vani.

 

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I signori erano tutti iscritti al Partito, anche quei pochi, come il dottor Milillo, che la pensavano diversamente, soltanto perché il Partito era il Governo, era lo Stato, era il Potere, ed essi si sentivano naturalmente partecipi di questo potere. Nessuno dei contadini, per la ragione opposta, era iscritto, come del resto non sarebbero stati iscritti a nessun altro partito politico che potesse, per avventura, esistere. Non erano fascisti, come non sarebbero stati liberali o socialisti o che so io, perché queste faccende non li riguardavano, appartenevano a un altro mondo, e non avevano senso. Che cosa avevano essi a che fare con il Governo, con il Potere, con lo Stato? Lo Stato, qualunque sia, sono «quelli di Roma», e quelli di Roma, si sa, non vogliono che noi si viva da cristiani. C’è la grandine, le frane, la siccità, la malaria, e c’è lo Stato. Sono dei mali inevitabili, ci sono sempre stati e ci saranno sempre. Ci fanno ammazzare le capre, ci portano via i mobili di casa, e adesso ci manderanno a fare la guerra. Pazienza!

Carlo Levi – Cristo si è fermato a Eboli

Pazienza!

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Un buon soldato non è un buon essere umano

Un buon soldato non è un buon essere umano

Un buon soldato non è un buon essere umano

Ancora non ho individuato la professione alla quale attribuire la mirabolante qualificazione di “lavoro dei miei sogni“, ma posso senz’altro affermare che quella del soldato è da escludere a priori. Sia ben chiaro, a scanso di equivoci, non ho nulla contro la categoria; il mio disappunto, la mia critica hanno a che fare con il concetto stesso di soldato, che trovo problematico, essenzialmente incompatibile con ciò che (di buono) fa di un essere umano un essere umano.

Dicesi un buon soldato un soldato che esegue gli ordini alla lettera, senza fiatare, senza batter ciglio, quali che essi siano; Dicesi un buon soldato un soldato che pone la buona riuscita della missione assegnatagli sopra ogni altra cosa o considerazione. Abbiamo pertanto un essere umano che da pensante, autonomo, si fa “facente“, subordinato; un essere umano che ammutolisce la propria coscienza e depone la propria volontà per tramutarsi in mero strumento (di violenza e di morte, primariamente).

Lo status ontologico (umanamente compromesso) del soldato è riassumibile nella gravosa parola “dovere“, che qui soppianta, senza riguardo alcuno, le componenti del pensare e del sentire proprie di un essere umano dignitoso.

Il soldato incarna il dovere stesso: è il dovere fatto a persona; più precisamente, il dovere verso la patria.

Un soldato deve combattere(ammazzare)per la patria.
Un soldato deve sacrificarsi(gettare la propria vita)per la patria.
Per la patria(superbia, brama, inettitudine di uno, di pochi).

Un buon soldato non può essere un buon essere umano.

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L’uomo aspira alla pace ma allo tempo stesso agogna la guerra… pensare alla pace e malgrado ciò spargere sangue è una cosa che soltanto gli uomini sono capaci di fare. Sono due facce della stessa medaglia… per proteggere qualcosa… un’altra va sacrificata.

Masashi Kishimoto – Naruto

Due facce della stessa medaglia

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Religione, ideologia, risorse, territori, amore o semplicemente per… Non importa quanto patetico possa essere il motivo, esso sarà suffciente per innescare una guerra.  La guerra non cesserà mai di esistere… le ragioni possono anche essere pensate in seguito…. La natura umana persegue il conflitto.

Masashi Kishimoto – Naruto

Guerra

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Non c’è speranza sul campo di battaglia. Esso riserva solo un’indicibile disperazione. Unicamente un crimine che chiamiamo vittoria, pagato dalla sofferenza del vinto. Tuttavia si tratta di una verità che l’umanità non mai riconosciuto; questo perché in ogni era è presente un carismatico condottiero che acceca le masse con le proprie gesta leggendarie, impedendo loro di vedere l’orrore e il male di ogni spargimento di sangue. La vera natura dell’uomo non è avanzata di un passo dall’età della pietra.

Datto Nishiwaki – Fate/stay night

Dall’età della pietra

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