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In braccio a Morfeo passiamo 227.760 ore, ovvero 26 anni, ovverosia un terzo della nostra esistenza – ennesimo promemoria dalla sua scioccante brevità -.

Incoscienti. Inermi. Inerti. Una piccola morte, una perpetua prova generale per preparare a dovere lo spirito e le membra all’atto finale.

Gli occhi coperti – chiusi, non lo sono mai – ma febbrili. Destra, sinistra, su, giù: tracciano un reticolo immaginario di convulsa geometria. Come spaventati per via dell’oscurità sopraggiunta, avvolgente, totale, disperati sono in cerca di luce. Vogliono vedere. Qualcosa, qualsiasi cosa – forse sogniamo per vedere appunto qualche cosa, il tanto per non “dimenticarci” come si vede -.

Ci sono ancora. Pensieri… Oggi ho… Domani avrò… Un ricordo (apparentemente) stocastico del passato… SHHH! Non basta. Devo “chiudere” una seconda volta gli occhi. No, si tratta più di un “movimento” verso il basso, uno sprofondare. Rendere pesante la coscienza, tramutarla in un macigno in caduta libera e.. PUFF!

Impercettibile, un colpo fantasma. Dall’altra parte, in una transizione perfetta, fluida, senza smagliature, senza singhiozzi. Da qualche altra parte (del mio cervello?). Un’altra vita, un’altra esistenza, un altro piano del reale. Una dimensione vivida ma al tempo stesso eterea, instabile, al collasso imminente. Ambientazione e figuranti in un repentino flusso, rigurgito di ignota familiarità, un carosello di spezzoni alla rinfusa. Tutto è conosciuto. Tutto è normale. Nessun dubbio, nessuna sorpresa per quanto possa verificarsi, per come e quanto le leggi fisiche e logiche possano venire ripetutamente violate con nonchalance.

In questo mondo siamo al centro. Ogni cosa sembra gravitare verso il nostro sguardo. Ogni evento è intessuto di noi e su di noi. Non caso, in questa realtà vale il pensiero magico: la volontà sola è bastevole a piegare, blandire, controllare la natura al nostro benestare. In quei secondi/minuti – il lasso effettivo di un sogno – siamo degli dei (ma un dio può morire? O meglio, la sua controparte in carne ed ossa? Voglio dire, si può morire in sogno? O meglio, si può morire di un sogno?).

Il tempo del sogno scorre differentemente. Esso non è, come quello fisico, composto di istanti unitari giustapposti, ma di picchi e valli d’intensità slegati. Il tempo del sogno si espande e si contrae alla maniera di un cuore vivo, pulsante.

BOOM! La bolla scoppia. Ritornato. La coscienza al suo posto (originario?). Stordito, disorientato, traumatizzato dal viaggio, dalla cesura inopinata: un mezzo secondo di angoscia pura, poi, finalmente, il riassestamento. Sono qui.

Il ricordo, frammentario, si dissolverà nel giro di poche ore – è nel nostro interesse dimenticare? – : 26 anni di oblio.

26 anni di oblio

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Dissonanza

Dissonanza

Dissonanza

Se conservo tutt’oggi un vivido ricordo delle medie, in parte lo devo alla mia prof. di italiano…

In lei era lampante, palpabile il suo avere profondamente a cuore la il passato, specie certi atroci accadimenti della storia contemporanea. Il suo non era un interessamento circostanziato, generico, da cattedra, ma uno vivo, sentito, da campo, in prima linea; tant’è vero che, in gioventù, era impegnata, in America Latina, come attivista, o comunque sostenitrice, di movimenti rivoluzionari.

Un nome su tutti mi si è stampato nella memoria: Subcomandante Marcos: leader dell’Esercito Zapatista di Liberazione – questo però l’ho cercato su Google – . Quante volte sentivo evocare quest’uomo… e ogni volta gli occhi le brillavano, evidentemente era il suo idolo, forse al pari del Che. E dove c’è resistenza c’è l’oppressione di sanguinari dittatori e brutali regimi totalitari; infatti, un secondo riferimento parecchio ricorrente era la parola desaparecidos, i scomparsi, i volatilizzatisi nell’aria, oppositori politici, giornalisti d’inchiesta, gente scomoda e loro affiliati.

Questo spirito insofferente dei soprusi e delle barbarie mi faceva da insegnante.

Il suo fuoco non si era placato, estinto, si era semplicemente “spostato” dalla prima linea alla retrovia; dal fuoco del fare si era tramutato nel fuoco del ricordare, un fuoco che finì per marchiarmi indelebilmente.

La prof. era solita intercalare lezioni regolari e vedute di film. A quei tempi, non sapevo che esistessero pellicole di quella sorta, no, è più corretto dire che non avevo ancora compreso l’agghiacciante estensione della malvagità e perversione umane. Una cosa è leggere dello sistematico sterminio del popolo ebreo, perpetrato dalla Germania nazista, sui libri di storia, un’altra è guardare Schindler’s List… i film ai quali assistevamo erano tutti legati dallo stesso filo rosso (sangue): una playlist devastante, che mi spalancò gli occhi (figurativamente e letteralmente) e che mi scosse nel profondo. Durante ciascuna visione, nella semioscurità dell’aula, ero un fascio di orrore, disgusto e incredulità – poteva benissimo essere solo un brutto incubo – , ma era quando il film terminava, quando varcavo la soglia dell’aula video e rimettevo piede nella luce, nella realtà che conoscevo, quella di tutti i giorni, nella quale conducevo beatamente la mia ingenua e inconsapevole vita di preadolescente, che mi sentivo strano

Uno “stridore” lancinante.

 

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