Archivi tag: individuo

Per certe cose il mezzo epistolare non si batte, è tutta un’altra cosa, è tutta un’altra esperienza… In questa occasione, ho voluto riportare il particolare contenuto di una lettera – scritta dal pugno di un certo Hunter Stockton Thompson – che lessi tempo fa e che mi fece una piacevole impressione.

22 Aprile 1958
57 Perry Street
New York City

Caro Hume,

Cerchi consiglio: ah, che cosa assai umana e rischiosa da fare! Sicché dare consiglio a un uomo il quale si chiede che cosa fare della sua vita sottintende qualcosa di molto vicino all'egomania. Presumere di indirizzare un uomo sulla giusta e definitiva meta - puntare con un dito tremante nella GIUSTA direzione è un qualcosa che solamente uno sciocco si sentirebbe di fare.

Non sono uno sciocco, ma rispetto la tua sincerità nel chiedere il mio consiglio. Ti domando tuttavia, nell'ascoltare quello che ho da dire, di rammentare che ogni consiglio non è altro se non il prodotto di chi te lo fornisce. Quello che è vero per uno, potrebbe rivelarsi disastroso per un altro. Non vedo la vita attraverso i tuoi occhi né tu la vedi con i miei. Se dovessi tentare di darti un consiglio specifico, sarebbe la stessa cosa di un cieco che ne guidasse un altro.

"Essere, o non essere, questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente soffrire colpi di fionda e dardi d'atroce fortuna o prender armi contro un mare d'affanni..."
(Shakespeare)

E di fatto, questo è il dilemma: se venire trasportati dalla corrente o nuotare attivamente verso una meta. E' una scelta che dobbiamo fare tutti, consciamente o inconsciamente, ad un certo punto della nostra vita. Così in pochi se ne rendono conto! Ripensa alle decisioni importanti che hai fatto in passato: potrei sbagliarmi, ma non vedo come non possano essere state, per quanto anche indirettamente, una tra le due opzioni che ho menzionato: "il lasciarsi trasportare o il nuotare".

Ma perché non lasciarsi trasportare, se non si ha una meta? Questo è un altro grattacapo. E' indubbiamente più piacevole farsi trasportare dalla corrente anziché nuotare nell'incertezza. Perciò, come fa uno a trovarla, una meta? Non un castello fra nuvole, ma una cosa reale e tangibile. In che modo uno può essere sicuro di non stare andando dietro a una "colossale montagna fatta di zucchero filato", un'invitante dolce meta che in vero è insipida e senza sostanza?

La risposta - e, in un senso, la tragedia della vita - è che cerchiamo di capire la meta ma non la persona. Ci poniamo un obiettivo che ci richiede certe cose: e noi le facciamo. Ci regoliamo alle istanze di un concetto che NON PUO' essere valido. Poniamo che da bambino volessi fare il pompiere. Mi sentirei di affermare con una certa sicurezza che ciò non sia più il caso. Per quale motivo? Perché la tua prospettiva è cambiata. Il "pompiere" è rimasto il medesimo, ma tu no. Ogni persona è la somma totale delle sue risposte all'esperienza. Come le tue esperienze variano e si moltiplicano, tu divieni una persona differente, dunque la tua prospettiva si modifica.

Perciò, non parrebbe sciocco l'accordare le nostre vite alle pretese di una meta che vediamo ogni giorno da un'angolazione differente? Cosa potremmo sperare di ottenere se nonché una nevrosi galoppante?

La risposta, allora, non deve riguardare affatto dei traguardi, non traguardi tangibili, almeno. Servirebbero pagine e pagine per sviluppare pienamente questo tema. Dio solo sa quanti libri sono stati scritti su "il significato dell'uomo" e simili, e Dio solo sa quanti hanno ponderato la questione (uso il termine "Dio solo sa" puramente da espressione). Ha veramente poco senso il mio tentativo di fornirti un succinto e lapidario prontuario a riguardo, poiché sono il primo ad ammettere la mia completa mancanza di qualifiche per approssimare il senso della vita in uno o due paragrafi.

Mi terrò alla larga dalla parola "esistenzialismo", ma se ti aiuta, sii libero di tenerla come possibile riferimento. Potresti anche provare qualcosa del genere di "Essere e Nulla" di Jean-Paul Sartre, e un'altra cosetta come "Esistenzialismo: Da Dostoevskij a Sartre". Questi sono semplicemente suggerimenti. Se sei genuinamente soddisfatto di chi sei e di che cosa fai, allora stanne alla larga (non svegliare il can che dorme). Ma torniamo a noi. Ripeto, porre la nostra fede in obiettivi concreti sembra, alla meglio, superficiale. Quindi non aspiriamo a diventare pompieri, non aspiriamo di diventare banchieri, né poliziotti, né dottori. ASPIRIAMO A ESSERE NOI STESSI. 

Ma non fraintendermi. Non voglio dire che non possiamo ESSERE pompieri, banchieri, o dottori; però dobbiamo fare in modo che sia la meta a conformarsi all'individuo e non l'individuo alla meta. In ogni uomo, eredità e ambiente si sono combinati per produrre una creatura con certe abilità e desideri, compreso un profondo e radicato bisogno di funzionare in una maniera che renda la sua vita SIGNIFICATIVA. Un essere umano deve ESSERE qualcosa, deve importare.

Per come la vedo io dunque, la formula recita qualcosa tipo: "Uno deve scegliere una via che permetterà alle sue CAPACITÀ di operare al massimo grado verso la gratificazione dei suoi DESIDERI. Nel fare ciò, egli sta soddisfacendo un bisogno (assegnandosi un'identità che opera attraverso un percorso ben preciso in vista di un meta), evita di vanificare il suo potenziale (scegliendo un percorso che non ponga limiti alla sua crescita) e rifugge il terrore di vedere la sua meta svigorire o perdere il suo fascino man mano che le si avvicina (anziché piegarsi alle esigenze di ciò che persegue, egli ha adattato la sua meta per conformarsi alle sue abilità e ai suoi desideri).

In breve, egli non ha dedicato la sua vita a raggiungere un meta predefinita, ma piuttosto ha scelto uno stile di vita che SA gli recherà piacere. La meta è assolutamente secondaria: è il viaggio che conta. E suona quasi ridicolo dire che uno DEVE muoversi su una rotta che egli stesso ha deciso; giacché lasciare che qualcun altro definisca i tuoi scopi equivale ad abdicare uno degli aspetti più significativi della vita: il definitivo atto di volontà il quale fa di una persona un'individuo.

Supponiamo che tu pensassi di poter scegliere tra otto sentieri da intraprendere (tutti sentieri predefiniti, ovviamente). E supponiamo che tu non possa scorgere una genuina finalità in nessuna delle otto. DUNQUE - e qui risiede l'essenza di tutto quello che ho detto - tu DEVI TROVARE UN NONO SENTIERO.

Naturalmente, ciò è più facile a dirsi che a farsi. Hai vissuto una vita relativamente circoscritta, un'esistenza verticale piuttosto che orizzontale. Quindi non è troppo arduo comprendere perché tu ti senta in questo stato. Ma chi procrastina nelle proprie DECISIONI finirà inevitabilmente col farsi dettare le scelte dalle circostanze.

Per cui, se ora ti annoveri fra i disillusi, ebbene non hai scelta se non accettare le cose come stanno, o ricercare seriamente delle alternative. Ma guardati bene dal ricercare una meta: ricerca uno stile di vita. Decidi come vuoi vivere e vedi cosa puoi fare per guadagnarti da vivere ENTRO quella cornice di vita. Però tu mi dici: "Non so dove guardare; Non so che cosa devo cercare".

E qui sta nodo della questione. Vale la pena rinunciare a ciò che ho per cercare qualcosa di meglio?  Ne vale - non ne ho la più pallida idea - ? Chi può prendere quella decisione all'infuori di te? Ma anche solo DECIDENDO DI CERCARE ti farà compiere passi da gigante verso la tua scelta finale.

Se non mi fermo qua, finisco a ritrovarmi con lo scrivere un libro. Spero che, quanto finora esposto, non risulti come a una prima occhiata, confusionario. Tiene a mente, beninteso, che questo è il MIO MODO di vedere le cose. Dal mio punto di vista, penso che quanto detto si applichi generalmente in maniera favorevole, ma potresti di essere di un altro avviso. Ciascuno di noi deve fondare il proprio credo - questo semplicemente capita di essere il mio.

Se c'è qualunque cosa chi ti sembra non tornare, non farti problemi a segnalarmelo. Non sto provando a mandarti allo sbaraglio in cerca della gloria, ma voglio semplicemente renderti conscio del fatto che non sei tenuto necessariamente ad accettare le scelte così come la vita te le ha imposte. C'è molto più di questo - nessuno DEVE fare qualcosa che non vuole per il resto della vita. Ma se, nondimeno, è questo che finirai a fare, convinciti a ogni costo che non AVEVI scelta. Sarai in buona compagnia.

E con questo è tutto, per adesso. In attesa di una tua risposta, 

il tuo amico,

Hunter















Hume, c’è posta per te!

Contrassegnato da tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Dopo un anno, e qualcosa di più, di lavoro a contatto con il pubblico, una cosa posso affermare fuor di qualunque ragionevole dubbio: nella gente non vi è traccia alcuna di quel lume della ragione tanto caro agli illuministi.

Giorno dopo giorno, interazione dopo interazione, l’uomo della strada non ha fatto altro che dare schiacciante prova del profondo sonno in cui versa il suo intelletto. Si badi bene, chi scrive non si reputa di certo dotato di chissà quale acuto e penetrante intelletto, per carità, ma perlomeno ritengo di potermi dichiarare, senza arroganza, una testa pensante… Al contrario, nell’individuo medio, per dirla aristotelicamente, pare in atto la sola anima sensitiva: l’appetito e l’istinto la fanno chiaramente da padroni; egli è mosso da un automatismo animale e in quanto tale è avverso, idiosincratico nei confronti del discorso razionale: non ne fa uso né è disposto a prestarle ascolto, trincerato com’è nel suo gretto fortino edificato su cumuli e cumuli di stereotipi, fesserie e ragionamenti sconclusionati.

Sicuro, è irrealistico aspettarsi che la maggioranza della popolazione eccella nella pratica della riflessione o che possegga uno spiccato spirito critico, ma certamente non sarà così ignorante e stolta come viene per tradizione dipinta da una retorica élite fuori da questo mondo… – pensavo. Mi sbagliavo (in larga parte).

Confesso che di quando in quando faccio ancora fatica a raccapezzarmi all’idea di un’umanità di siffatta risma e mi domando, allibito ogni volta: come diavolo fa il mondo a “girare”? I  miracoli esistono. Il solo fatto che io abbia condiviso queste righe, non su di un semplice pezzo di carta, ma su di una piattaforma di computer intercontinentalmente connessa, denominata internet – con tutto ciò che questo presuppone in termini di conoscenze fisiche e tecnologiche pregresse – , è già di per sé qualcosa che dovrebbe destare enorme stupore…

Per finire, non saprei stabilire se lo stato delle cose sia imputabile all’adozione di un sistema educativo disastroso, e quindi il prodotto di un certo tipo di società/cultura, o se invece si tratti di una realtà connaturata alla condizione umana, e quindi il naturale stato delle cose. Probabilmente, entrambe le cose; o meglio, l’ultima che viene amplificato in modo esponenziale dalla prima. Boh.  Mi auguro solamente che l’inevitabile e prolungata esposizione “zombificante” che mi attende non incida troppo pesantemente sulle mie facoltà mentali, ottundendole oltre l’irreparabile…

 

Buio

Contrassegnato da tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

AI: l’ascesa di un nuovo oracolo

AI: l'ascesa di un nuovo oracolo

AI: l’ascesa di un nuovo oracolo

Dall’alba dei tempi l’essere umano, messo di fronte all’evidenza della sua essenziale impotenza nel comprendere e gestire fino in fondo la caoticità del sistema mondo, ha avvertito il recondito bisogno di affidarsi a qualcosa o a qualcuno, il divino, la natura, di più grande di lui, che lo traesse fuori dall’oscurità epistemologica in cui di volta in volta si trovava inevitabilmente immerso: l’esito di una guerra importante, la durata di una tremenda carestia o, più genericamente e onnicomprensivamente, il fato in serbo. E qualora la rivelazione non fosse stata allineata, favorevole, agli interessi di parte, il passo consequenziale era quello di carpire a ogni costo il sapere atto a ribaltare l’avverso pronostico: in che modo assicurarsi la vittoria? che cosa fare per mettere fine alla penuria? come mutare il corso del destino? Insomma, è in noi intrinseco il desiderio, la smania anzi, di controllo, dominio, potere, che si esplica in un inesausto conato alla conoscenza.

E, come accennavamo, quando il sapere ricercato esulava dalle possibilità conoscitive dell’individuo o della comunità, e che pertanto non poteva venire attinto che per mezzo di un tramite speciale, ci si rivolgeva a figure ambivalenti quali quelle dello stregone, del santone, dello sciamano, del sacerdote, dell’oracolo; tutti soggetti accomunati dal fatto putativo di intrattenere un rapporto privilegiato con forze ed entità extramondane. Detentori di uno sguardo in grado di squarciare la cortina dell’imperscrutabile avvenire, custodi gelosi di conoscenze arcaiche e arcane, unici ponti tra la dimensione mortale dell’uomo e quella eterna della divinità. Essi erano oggetto di venerazione e nei loro confronti si riversava un misto di deferenza, meraviglia e timore, non per nulla si trattava di personaggi altolocati, al pari, se non più influenti delle figure regnanti: schiere e schiere pendevano dalle loro labbra, chi in cerca di risposte, chi di conferme, chi di conforto, chi di salvezza, chi di felicità, chi di speranze, chi di potere, chi di vendetta.

Con il passare dei secoli, dietro la spinta del progresso scientifico-tecnologico, ci siamo allontanati, senza malgrado emanciparcene totalmente ( si pensi alle sacche di superstizione rappresentate dall’astrologia e della cartomanzia), dal magico influsso proveniente dalla prospettiva di ricevere manforte da forze che in un modo o nell’altro trascendono la nostra natura di limitate creature umane. Ma sapete qual è il colmo? Per ironia della sorte, è esattamente dal pieno concretizzarsi del pensiero razionalistico, il quale ha messo in moto un processo di secolarizzazione su larghissima scala, che viene l’impulso generatore che darà avvio a una nuova era di superstizione (collettiva e istituzionalizzata), una che, diversamente dalle tradizionali superstizioni, non si fonderà su presupposti magici e soprannaturali ma su solidissime basi scientifiche, tecniche e informatiche.

Una superstizione/credenza/fede razionale, per quanto paradossale possa suonare…

E il nuovo oracolo, il nuovo Verbo, il nuovo Messia, prende il nome di “intelligenza artificiale” (comunemente riferito con l’acronimo inglese “AI“). Termine un tempo circolante esclusivamente tra gli addetti ai lavori è ora gergo di dominio e utilizzo anche da parte del grande pubblico. Alexa, Siri i casi più eclatanti di intelligenze artificiali entrate a far parte del quotidiano (per non menzionare i vari algoritmi che governano il corretto funzionamento e sostentamento dei colossi del web su cui al giorno d’oggi facciamo così tanto affidamento: Google, Facebook, Amazon, Youtube ecc. anch’essi annoverabili nella vasta e variegata categoria delle AI). Scettici che il vostro cellulare possa assurgere alla veste mitica di oracolo, e dispensarvi preziosi consigli su aspetti salienti della vostra vita? Be’, in effetti non è questa la casistica che ho in mente quando voglio tracciare il paragone tra la tecnologia AI e la figura dell’oracolo (anche se, a onor del vero, la scelta del partner non mi sembra una questione delle più triviali. Dico questo poiché da qualche parte ho letto di una ricerca che ha evidenziato come una discreta percentuale delle coppie formatesi negli ultimi anni abbiano avuto la loro origine in rete). Più che altro, mi riferisco ad AI alle dipendenze di pesi massimi del mercato economico mondiale, di laboratori di ricerca scientifica all’avanguardia, di importanti istituzioni finanziarie e, va da sé, AI di proprietà di governi e stati nazionali.

L’analogia AI-oracolo arriva tuttavia fino a un certo punto. Se è vero che l’oracolo, per una sorta di elezione divina, traeva il suo scibile in seno a una sorgente di natura metafisica, l’intelligenza artificiale riesce a fare quello che riesce a fare – fornirò qualche esempio in un secondo momento – per cause assai terrene e intelligibili, in un processo per nulla estroso o entusiasmante, ma che al contrario definirei banale e tedioso. Come viene alla luce un oracolo moderno? Per semplificare, dando in pasto a un programma una moltitudine esorbitante di dati, modelli, esempi (adeguati si spera) su cui “ruminare” e familiarizzare. Semplice e puro apprendimento via esperienza, in sostanza. Qualcosa che ci riesce bene, uno dei tratti caratteristici della nostra specie: imparare (per operare sempre più efficacemente sull’ambiente, sopravvivere, prosperare). Bravi senz’altro ma, com’è naturale che sia, oltre una data soglia cognitiva non possiamo proprio spingerci: come un dato motore è in grado di sprigionare solo un determinato numero di cavalli vapore, il cervello umano presenta dei limiti strutturali e funzionali e non è fatto per gestire ed elaborare contemporaneamente moli e moli di dati. È esattamente qui, dove noi dobbiamo cedere il passo, che entrano in gioco le macchine e ci fanno mangiare rapidamente la polvere: esse dispongono di una potenza di calcolo migliaia di volte la nostra – da prendere più come iperbole che come fatto assodato, comunque sia deve trattarsi quasi sicuramente di una proporzione non indifferente – (un divario che, neanche a dirlo, non cesserà di ampliarsi), che adibiscono interamente all’ultimazione (non stop) di uno scopo o gerarchia di scopi.

Come anticipato, il risvolto teorico che sta dietro il funzionamento delle cosiddette superintelligenze non posa su chissà quali nebulosi principi, anzi, ma, ciò nonostante, i frutti prodotti dal loro impiego sono certamente impressionanti. In ambito medico, abbiamo intelligenze artificiali capaci di rilevare e quindi diagnosticare (con perizia superiore a qualunque medico umano) in largo anticipo – cosa di notevole importanza – la formazione di cellule tumorali; nei trasporti, ci dirigiamo verso città e metropoli percorse da auto con a bordo solamente passeggeri; ai giochi strategici, da tavolo, quali scacchi e go, ormai non c’è più partita, ci hanno surclassati (se siete del parere che ciò non sia un granché significativo, ripensateci: sono contesti aperti a letteralmente milioni di variabili e possibilità!); accidentalmente, inoltre, contribuiscono all’arricchimento del nostro armamentario di conoscenze scientifiche, facendo nuove scoperte (qualche tempo fa, ho letto di un AI che setacciando, mettendo ordine a vari papers ovvero pubblicazioni accademiche, è riuscita a individuare la fattibilità di un nuovo tipo di materiale), il che è comprensibile: nessuno scienziato potrebbe, per quanto multidisciplinare e stacanovista, essere a conoscenza di tutte le nozioni, teorie (vecchie e nuove), dei dibattiti, delle ricerche (e relativi risultati) in corso nel mondo, nel proprio campo, figuriamoci in quello degli altri, e comunque sia, nessuna mente umana potrebbe mai e poi mai contemplare tale immensità (sempre crescente) di input disponibili…

Gradualmente, la componente AI permeerà ogni filamento del tessuto societario, umano, e da utile strumento potrebbe finire a elevarsi a imprescindibile presupposto al funzionamento e progredimento della civiltà umana in tutte le sue manifestazioni. Come nei confronti degli antichi oracoli, in questo ipotetico scenario, porremo una fiducia incondizionata all’autorità decisionale delle future intelligenze artificiali, delegheremo al loro giudizio ogni scelta di peso, sia a livello micro, individuale (il percorso di studi, la carriera lavorativa ecc.) sia a livello macro, collettivo (provvedimenti, regolamenti, leggi da adottare).

Siamo a cavallo di un epocale cambio di paradigma sociale, uno votato a un più che mai forte determinismo. Sono dell’idea che l’intelligenza artificiale abbia tutte le carte in regola per rivelarsi il propulsore di un benessere che di gran lunga valica ogni più nostra fervida immaginazione e aspettativa, e, verosimilmente, costituirà il nostro asso nella manica, la nostra ultima spiaggia nella risoluzione di problemi che semplicemente vanno al di là delle nostre possibilità. Ma ciò non toglie il fatto che tale tecnologia porterà con sé radicali cambiamenti, che, nel bene o nel male, stravolgeranno irrimediabilmente il nostro modo di vivere. E noi abbiamo il dovere morale di non distogliere lo sguardo, di stare all’erta: per far sì che ciò cui acquisiamo non comporti in cambio la perdita di qualcosa in verità molto più importante… d’altronde, è risaputo: oracoli et similia non di rado erano soliti esigere dei sacrifici (umani), anche in numero elevato…

Non scordiamo mai, infine, che il responso delle AI non è intrinsecamente infallibile ma può essere suscettibile a errori (sistematici). L’esecuzione di compiti e operazioni potrà pure essere perfetta, tuttavia, se le premesse sulle quali queste ultime poggiano sono anche solo parzialmente viziate, vuoi da pregiudizi, vuoi da fallacie logiche, ecc., ciò inficerà fatalmente sulla validità e sostenibilità dei risultati ottenuti.

E le premesse siamo noi.

Le AI amplificheranno esponenzialmente ciò che siamo: e se è vero che si raccoglie ciò che si semina, ebbene, ci conviene davvero, fin da subito, dare il buon esempio, letteralmente…

AI Oracolo

Contrassegnato da tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Prima donne e bambini

Prima donne e bambini

Prima donne e bambini

Dare la precedenza alle donne e ai bambini nelle situazioni di emergenza, pericolo, durante le evacuazioni e i salvataggi; una nota linea di condotta di origine marinara – anche se, facendo qualche ricerca su internet, sembra alquanto trascurata nei naufragi – . Un gesto nobile, se frutto dalla propria volontà, in caso contrario, nient’altro che un sacrificio imposto; una discriminazione di genere (che indirettamente richiama  a sé quella femminile). Una discriminazione che si è ben impressa nel nostro sostrato psichico, questo grazie a una retorica martellante del “uomo forte/duro e della donna sesso debole/gentil sesso” che si perpetua da Dio solo sa quanto, sotto le più svariate forme espressive e convenzioni sociali.

Tutto comincia già alla nascita con l’associazione del colore blu/azzurro ai maschietti e del colore rosa alle femminucce. Lungi dall’essere mera attribuzione di sesso, sarà “bandiera” dei tanti meccanismi sociali e culturali che portano a estremizzare le differenze biologiche che intercorrono fra l’ uomo e la donna, imponendo a entrambi  prerogative specifiche. Forza, orgoglio e razionalità, da una parte; delicatezza, passione e modestia, dall’altra: l’impostazione di una netta opposizione, manichea, tra due universi umani.

Detto ciò, all’origine di atteggiamenti del tipo “prima le donne e i bambini” è palese l’influsso di narrazioni che vedono nella donna un fiore tanto incantevole quanto cagionevole (che quindi necessità di premura e protezione, di salvezza) – per quanto concerne la priorità concessa ai bambini, più che a un prodotto culturale siamo, credo, di fronte a uno evolutivo – : il topos della damigella in pericolo/fanciulla da salvare: protagonista femminile impotente la cui felicità e il cui benessere futuri sono integralmente derivanti e subordinati dall’agire di un impavido ed eroico protagonista maschile. Un motivo di vecchia data, che dovrebbe risalire almeno alla Grecia antica (prendendo per buono quanto riportato da Wikipedia); emblematica è l’ambientazione medioevale con valorosi cavalieri che soccorrono innocenti principesse dalle grinfie di draghi malefici. Di vecchia data ma tuttora piuttosto adoperato, come si può facilmente constatare…

L’introiettamento di questo stereotipo, che nel nostro tempo avviene preponderatamente attraverso la fruizione di film e telefilm, è pressoché una certezza matematica; ed esso si fa agevolmente strada, si insidia subdolamente dal mondo della finzione a quello della realtà. Ecco dunque la donna come soggetto passivo, al massimo reattivo, fragile e pertanto bisognoso della massima tutela e del massimo accudimento da parte dell’uomo, soggetto attivo, creativo, forte.

Donna = vittima della situazioneUomo = eroe della situazione

Immersi nella narrazione, inconsciamente, l’uno è indotto ad aspettarsi dall’altro quanto previsto dal “ruolo” che ricopre, ad adeguarsi al proprio, di ruolo, e a comportarsi di conseguenza: un gioco delle parti. Un gioco che però può divenire malsano, tossico. In generale, da un lato si corre il pericolo di limitare le potenzialità della donna, degradando l’orizzonte delle sue possibilità percepite e reali, rendendola  effettivamente debole; dall’altro, di portare al sovraccarico mentale e/o emotivo l’uomo, sottoponendolo alla costante pressione di mirare alla figura mitica del “vero uomo”.

A non concedere adito alla vera natura dell’individuo non può venirne fuori niente di buono, ma solo miseria e infelicità.

Contrassegnato da tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

There’s more than meets the eye

There is more than meets the eye

There’s more than meets the eye

No, non mi viene in mente un corrispondente italiano che riesca con eguale icasticità a comunicare ciò che voglio comunicare…

Per chi non fosse proprio ferrato in inglese, è una frase idiomatica traducibile con “c’è sotto qualcosa“, “c’è dell’altro“.

Ma sotto a che cosa? dell’altro rispetto a che cosa?

A tutto, in pratica.

Ma, per convenienza, demarchiamo il discorso a noi stessi. Allorché i miei occhi “incontrano” l’altro, ne apprendo istantaneamente la fisicità: la costituzione corporea, la fisionomia dei tratti, l’espressione del volto, che a suo volta può illuminare, per sommi capi, l’interiorità: l’umore, lo stato d’animo corrente; sennonché, giustappunto, there’s more than meets the eye… un qualcosa, dell’altro, che non possiamo aspettarci di rischiarare con un semplice sguardo.

Avete presente il detto: “Se solo queste mura potessero parlare” (con cui si allude alla caterva di avvenimenti che hanno avuto luogo in un determinato posto, del quale le pareti sono le testimoni simboliche)? Ecco, è esattamente lo stesso con noi: se solo le nostra pelle (?) potesse parlare, se i suoi innumerevoli pori potessero emanare e rendere perspicuo, palpabile, il vissuto, quel fagotto invisibile, sempre più stipato, che necessariamente ci portiamo appresso, fatto di un miscuglio unico di esperienze, vicende, azioni, relazioni ecc; che hanno concorso a plasmare gli individui che oggi siamo.

Ricordate, la prossima volta che i vostri occhi si poseranno su un oggetto – meglio se un minimo datati – , una costruzione, su un altro essere umano: THERE’S MORE THAN MEETS THE EYE! e che – ci metterei (quasi) la mano sul fuoco – vi sarebbe almeno un fatto che saprebbe lasciarvi a bocca aperta e con gli occhi sgranati, dallo sbalordimento…

Contrassegnato da tag , , , , , , , , , , , ,

La fine del mondo

La fine del mondo

Da piccolo avevo la seguente convinzione: quando fossi morto, anche il mondo avrebbe cessato di esistere insieme a me (altro che ogni uomo è un isola…); ovviamente non si trattava di un pensiero formalizzato, ma di una sensazione che ricalcava questo credo.

Già, forse a quei tempi ero un tantino egocentrico o, dal momento che identificavo il mio essere con il tutto, sarebbe corretto dire, chessò, “egopanteico“. A ogni modo ne ero completamente dissuaso. E perché non avrei dovuto? D’altronde, è talmente facile scivolare nell’illusione di essere i protagonisti indiscussi del presente in cui siamo immersi, spontaneo come una volta sedutisi su un altero trono di spade o giunti in cima al maestoso Everest.

Non siamo forse immancabilmente noi l’origine di ogni nostra percezione della realtà*?

Per Cartesio era: “Penso dunque sono”; Per me era, si potrebbe dire: “Penso dunque sei”*.

Ora non sono più di questo drastico avviso, ma in un certo senso penso ancora che il mondo non esca indenne dalla morte dell’individuo…

Ciascuno di noi è un agglomerato di esperienze, attitudini e sentimenti in sé unico e irripetibile, il quale costituisce a sua volta un’unica e irripetibile rappresentazione del mondo. E quando una “concentrazione vitale” viene a mancare: il mondo perde inevitabilmente parte della sua ricchezza, della sua interezza.

Un ragionamento troppo antropocentrico? È buffo, però, notare il fatto che, in sostanza, la mia idea originaria è rimasta pressoché inalterata: sono soltanto passato da una superbia circoscritta a una di genere universale…

 

 

* Fonte: Ergo Proxy

La fine del mondo

Contrassegnato da tag , , , , , ,