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I greci nell’epoca del loro splendore non avevano che disprezzo per il lavoro, solo agli schiavi era permesso di lavorare: l’uomo libero conosceva esclusivamente gli esercizi ginnici e i giochi dello spirito.

Virgilio – Bucoliche

Almeno una volta al mese – ma decisamente di più -, nello spazio della mia coscienza, si fa largo con una certa insistenza un pensiero ahimè cieco, che non porta da nessuna parte: come posso diventare abbastanza ricco da consentirmi di non badare più al denaro per il resto dei miei giorni? Ma l’incapacità di trovare neanche il sentore di una risposta non impedisce di certo al mio cervello di fantasticare fugacemente su tale versione ideale della realtà… Tant’è vero che vengo estasiato da una carrellata di immagini, spezzoni, ritratti di una vita dedita all’otium.

Per me, denaro è tempo.

Una risorsa strumentale all’appropriazione del tempo personale, ossia del bene più prezioso che ci sia. Faccio fatica a figurarmi una conquista più fondamentale (tolte quelle basilari allo sostentamento psicofisico) per una completa “fioritura” dell’essere umano : disporre liberamente del proprio tempo! Per questo motivo, non mi capacito assolutamente di chi ha già ammassato un tale quantitativo di ricchezze da potere sistemare per bene come minimo cinque generazioni, ma continua imperterrito nella racimolazione più sfrenata. Poi, a me ugualmente incomprensibile, c’è chi si lascia visibilmente travolgere dal più vivo entusiasmo quando, tentando la fortuna ad un gioco con vincita in denaro, riesce a portarsi a casa una somma che non potrà neanche lontanamente fare la differenza. Proprio non riesco a mettermi nei panni di queste due categorie di persone… Persone che intendono i soldi non come un semplice mezzo ma come un fine ini sé stesso, persone che pensano di essere nel pieno possesso delle loro vite senza rendersi conto di essere loro quelli posseduti; persone che non si conoscono, che non hanno mai cercato di conoscersi, esse conoscono unicamente il perseguimento e l’appagamento di piaceri immediati, principalmente appresi dall’esempio altrui. Ma magari quello strano sono io.

In effetti, non credo sarebbero in moltissimi quelli che, messo a loro disposizione un capitale/una rendita esorbitante, impiegherebbero il loro tempo a leggere, scrivere, guardare film, serie tv, anime, meditare (sia nel senso di entrare in una stato di coscienza particolare, sia nel senso di riflettere su concetti, idee), allenarsi. Qualcuno potrebbe giustamente osservare che per dedicarsi alle citate attività non è mica indispensabile essere dei paperoni. Vero, ma nel mio caso, non è così semplice.

Non sarò avido di denaro né di averi materiali in generale, ma sono a dir poco bramoso di arricchire il più possibile il bagaglio del mio sapere: voglio aggiungere strumenti mentali al mio cassetto mentale degli attrezzi, voglio ampliare le mie vedute, avere molteplici prospettive su un dato fatto/argomento, sapere distinguere il bianco, la scala di grigi nel mezzo e il nero delle questioni, voglio avere l’opportunità di ricredermi, di venire sorpreso, confuso, ferito, di cambiare idea, voglio pensare pensieri nuovi. E, come se non ci fossero già “voglio” bastevoli per riempire sette vite, non è tutto. Nessuno ha sottocchio l’imponderabile diagramma delle cause e degli effetti, ma l’intuito mi suggerisce che l’aver consumato, nel periodo fortemente impressionabile dell’infanzia, assiduamente, titoli nipponici dello stampo di Dragon Ball – dove è centrale il tema del continuo superamento dei propri limiti – abbia pesantemente inciso, anzi che sia la causa prima della mia fisima di voler mettere sempre alla prova il mio corpo, di spingerlo sempre più in là, sollecitandolo il più differentemente possibile (in forza, elasticità, mobilità, equilibrio, velocità, resistenza, coordinazione). Fra queste due “ricerche” si è col tempo instaurato un rapporto che definirei di stretta simbiosi: la coltivazione dell’una finisce per giovare direttamente o indirettamente al progredire dell’altra e viceversa, formando uno splendido ciclo virtuoso; a testimonianza del fatto che il corpo e la mente sono in verità una sola è unica cosa.

Ecco, ora dovrebbe risultare più comprensibile se dico che la torta del mio tempo libero non è affatto commisurata al mio fabbisogno specifico individuale, e che da ciò derivi l’acuto pungolo di fame (di agiatezza) che regolarmente attanaglia il mio animo.

Delle volte mi domando se la strategia migliore non sarebbe quella di mettere in pausa indefinita quel briciolo di otium che mi sono sapientemente e finemente ritagliato e concentrare tutte le mie energie e il mio tempo nel (cercare di) diventare un d’uomo d’affari con i fiocchi e controfiocchi. Un pensiero che alla fine viene puntualmente scartato. Voglio dire, a parte lo scoglio non da poco rappresentato dal fiutare un qualcosa che rientri nelle mie corde e che nel medesimo tempo si dimostri una cospicua fonte di guadagno, l’idea di dover sacrificare – probabilmente per decenni, se tutto va bene – ciò che a conti fatti costituisce il sale della mia vita…

Dunque… Che io sappia no, il mio nome non è in lizza in nessun testamento di successione milionario; di avere la meglio sul calcolo delle probabilità, giocando alla lotteria o simili, non ne parliamo nemmeno; la figura del mecenate è scomparsa da un pezzo – anche se così non fosse, non credo farebbero a spintoni per accogliermi sotto la loro protezione – . Ci vorrebbe un miracolo, un miracolo tecnologico. Sarà pure una affermazione controversa, antipatica, egoista, ma, onestamente parlando: che cosa mi resta se non confidare nell’avvento e sopravvento, in tempo spero ragionevoli, di un’intelligenza artificiale in grado di rendere superfluo/opzionale il lavoro dell’essere umano?

Voglio essere milionario

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Dopo un anno, e qualcosa di più, di lavoro a contatto con il pubblico, una cosa posso affermare fuor di qualunque ragionevole dubbio: nella gente non vi è traccia alcuna di quel lume della ragione tanto caro agli illuministi.

Giorno dopo giorno, interazione dopo interazione, l’uomo della strada non ha fatto altro che dare schiacciante prova del profondo sonno in cui versa il suo intelletto. Si badi bene, chi scrive non si reputa di certo dotato di chissà quale acuto e penetrante intelletto, per carità, ma perlomeno ritengo di potermi dichiarare, senza arroganza, una testa pensante… Al contrario, nell’individuo medio, per dirla aristotelicamente, pare in atto la sola anima sensitiva: l’appetito e l’istinto la fanno chiaramente da padroni; egli è mosso da un automatismo animale e in quanto tale è avverso, idiosincratico nei confronti del discorso razionale: non ne fa uso né è disposto a prestarle ascolto, trincerato com’è nel suo gretto fortino edificato su cumuli e cumuli di stereotipi, fesserie e ragionamenti sconclusionati.

Sicuro, è irrealistico aspettarsi che la maggioranza della popolazione eccella nella pratica della riflessione o che possegga uno spiccato spirito critico, ma certamente non sarà così ignorante e stolta come viene per tradizione dipinta da una retorica élite fuori da questo mondo… – pensavo. Mi sbagliavo (in larga parte).

Confesso che di quando in quando faccio ancora fatica a raccapezzarmi all’idea di un’umanità di siffatta risma e mi domando, allibito ogni volta: come diavolo fa il mondo a “girare”? I  miracoli esistono. Il solo fatto che io abbia condiviso queste righe, non su di un semplice pezzo di carta, ma su di una piattaforma di computer intercontinentalmente connessa, denominata internet – con tutto ciò che questo presuppone in termini di conoscenze fisiche e tecnologiche pregresse – , è già di per sé qualcosa che dovrebbe destare enorme stupore…

Per finire, non saprei stabilire se lo stato delle cose sia imputabile all’adozione di un sistema educativo disastroso, e quindi il prodotto di un certo tipo di società/cultura, o se invece si tratti di una realtà connaturata alla condizione umana, e quindi il naturale stato delle cose. Probabilmente, entrambe le cose; o meglio, l’ultima che viene amplificato in modo esponenziale dalla prima. Boh.  Mi auguro solamente che l’inevitabile e prolungata esposizione “zombificante” che mi attende non incida troppo pesantemente sulle mie facoltà mentali, ottundendole oltre l’irreparabile…

 

Buio

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È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo.

Anna Frank – Il Diario

L’intima bontà dell’uomo

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Elogio alla mia esistenza

elogio alla mia esistenza

Elogio alla mia esistenza

No, non siete testimoni di un subitaneo accesso di impudente e borioso narcisismo. Per carità, il mondo può fare anche a meno della mia presenza; infatti questo elogio, alla mia esistenza, va interpretato in tutt’altro modo.  É una presa di coscienza che dovrebbe investire, con la sua potenza e meraviglia, ognuno di noi.

Il fatto di esistere, di esserci, ci è così dato, così cooriginario, da velare quanto eccezionale sia autenticamente. Siamo stati gettati nel mondo dal ventre di nostra madre, ma questo poteva benissimo non verificarsi… provate solo un attimo a immaginare l’infinità di condizioni che si sono rese necessarie al nostro avvento (e quanto poteva andare storto!): un preciso spermatozoo ha fecondato l’ovulo, la “gara” poteva essere vinta da milioni di altri contendenti; si è consumato un rapporto il tale giorno alla tale ora, avrebbero potuto dedicarsi ad altre attività d’intrattenimento; i nostri genitori si sono incontrati, hanno deciso di attaccare bottone e si sono piaciuti, i loro sentieri potevano facilmente non incrociarsi mai, incrociarsi e basta, oppure provare indifferenza o addirittura ribrezzo reciproco. Tutto questo più il fatto che, in primo luogo, ovviamente, sono dovuti nascere a loro volta e questo, s’intende, ha comportato la soddisfazione di un egual numero di condizioni.

Siamo davanti a una vertiginosa catena causale che ripercorre le generazioni, i secoli, le ere e non comprende solamente l’intera storia dell’uomo, ma anche gli arbori della vita stessa e la creazione dell’universo a opera del Big Bang.

Ebbene sì, ci è voluto un “Big Bang” di fortuite coincidenze perché noi tutti potessimo esistere…

Un vero e proprio miracolo!

E se ciò non merita un doveroso, solenne e sincero elogio da parte nostra… allora, non saprei veramente cos’altro…

 

 

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