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Un fiume non viene mai sceso due volte dallo stesso Eraclito

 πάντα ῥεῖ

Tutto scorre, tutto fluisce, tutto muta. Ciò lo appuriamo facilmente a proposito del mondo esterno e degli infiniti oggetti che lo popolano; più difficoltoso è ,invece, rammentare che lo stesso principio vale anche per noi. Siamo naturalmente preda di un’illusione/narrazione che ci fa percepire di essere un insieme coerente, lineare, finito. Ma questa sensazione istintuale è, appunto, una mera illusione operata dalla nostra mente, un artificio cognitivo necessario al vivere: l’identità, l’Io. Quello che definiamo “Io”, lungi dall’essere quel tutt’uno compiuto e ordinato, è più correttamente rappresentabile come quell’ammasso intricato di atomi, cellule, carne, memorie, idee, paure, aneliti e quanto altro compone una persona in un dato momento , ed esso non esiste in una dimensione altra, trascendentale, metafisica, non sottoposta alla giurisdizione del moto, imperitura, no, fa parte del mondo, del tutto e, quindi, in perpetuo divenire: ciò che ieri ero oggi non sono, ciò che oggi sono domani non sarò: Io non sono mai, divengo sempre Io.

Comunque, l’oggetto di reale interesse, almeno dal mio punto di vista, non è tanto accorgersi della natura intrinsecamente elusiva, ambigua dell’Io – che alla stregua di un fantasma possiamo vedere ma non toccare – , bensì l’atto di raffrontare qualitativamente i diversi Io. Non mi riferisco ovviamente all’evoluzione fisica o a quella dei gusti in materia di musica, cibi o che so io, ma al mutamento, in taluni casi anche sostanziale, del “contenuto” cranico. Rispetto a dieci o solamente cinque anni fa, adesso ne so di più; mi sono imbattuto in nuovi concetti, mi sono misurato con nuove idee. In cuor mio posso dire tranquillamente di avere acquisito una maggiore conoscenza e comprensione di me stesso e del mondo. Ciò è di sicuro una cosa di cui rallegrarsi e magari andarne pure orgogliosi, ma non è dal semplice fatto di aver arricchito il mio patrimonio intellettuale che ricavo un senso di piacevole stupore quando il mio pensiero si sofferma sulle differenze mentali che intercorrono tra l’Io attuale e quello trascorso.

Il bello di apprendere non sta nel brivido di collezionare via via un numero crescente di saperi per sentirsi invulnerabili nei confronti di tutto e di tutti, per arroccarsi nella torre di avorio più alta e inespugnabile che ci sia, dove potersi crogiolare indisturbato nella più assoluta compiacenza di sé; il bello di apprendere qualcosa di nuovo sta nella magnifica possibilità di trasmutare quello che già sapevi, o credevi di sapere, di vedere la realtà sotto una luce nuova. Sicché, nel corso del tempo, sulla scia di nuove impressioni, non vi è praticamente atomo di pensiero che abbia ritenuto il suo carattere originario, di partenza, di concepimento: revisioni, rinnovamenti, rigetti: un panorama “ideale” soggetto al costante imperversare dall’agente del divenire. C’è da dire, però, che, in mezzo agli incalcolabili cambiamenti a cui andiamo in contro, non è sempre agevole ricordare chiaramente posizioni e vedute una volta sostenute, specie se a distanza di anni. Ed è in questo frangente che trovo di immenso giovamento (e diletto) andarmi a rivedere film, serie tv, anime, a rileggere libri e, nel mio caso specifico, i miei articoli – un’esperienza davvero esilarante – . A ogni tuffo nel passato, si sa, la nostalgia colpisce duro, te lo aspetti ma non puoi opporre resistenza, ti prende sempre alla sprovvista; ma, per me, non è la sola a sortire un effetto considerevole sul mio stato d’animo: la constatazione, la constatazione di non pensarla più alla stessa maniera di un tempo, di non essere più la stessa persona di un tempo, di essere mutato (e che questo processo continuerà fintantoché vivrò).

Esiste forse qualcosa di più esaltante?

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