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Abbiamo emozioni paleolitiche, istituzioni medioevali e tecnologie sovraumane.

Edward O. Wilson

Un quadro pericoloso

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Dove sono (tutti)?

Quando la notte volgo lo sguardo al sublime cielo incastonato di stelle, mi domando…

Sì, vabbè, magari potessi godere gratuitamente di una vista simile! Ricominciamo.

Nell’ultimo periodo, perlomeno dall’altra parte dell’oceano, si è tornati a parlare per l’ennesima volta di apparizioni UFO, ora denominate UAP (Unidentified Aerial Phenomenon), con nuove testimonianze video fornite non già come di consueto accade, da parte di civili, ma direttamente da organi militari/governativi quali la NASA e il Pentagono, prove che hanno inevitabilmente riacceso con vigore l’annoso dibattito e relative speculazioni in merito.

Ora, non sono un appassionato di ciò che riguarda lo spazio, il cosmo, l’universo ecc.- non che disdegni l’argomento, ma diciamo che i miei pensieri sono rivolti in prevalenza a questioni più terrene, inerenti alla persona umana – ma confesso di trovare stuzzicante il cosiddetto paradosso di Fermi, dal nome del celebre fisico, ovvero: se la matematica, prendendo in considerazione i fattori e le variabili del caso, ci dice che l’universo dovrebbe ospitare un tot di forme di vita intelligente, avanzate a tal punto da rendere manifesta la loro esistenza, in modo diretto e/o indiretto, ebbene, dove sono? Perché non vi è alcuna traccia di loro?

In questo post mi voglio lasciare andare e sparare tante ipotesi quante la mia mente riuscirà a partorirne!

A rigor di logica, le macro categorie sono due: siamo soli; non siamo soli. Andiamo per ordine.

Siamo soli

i) La vita intelligente è estremamente rara

Le stime peccano di ottimismo. Per quanto l’universo ci appaia e sia a tutti gli effetti uno spazio sconfinato, che l’insieme delle condizioni necessarie e favorevoli alla genesi di vita prima e allo sviluppo di organismi di una certa complessità poi si verifichi, nella corretta sequenza e per il lasso di tempo opportuno, è tutto all’infuori che probabile. Abbiamo vinto alla lotteria delle lotterie.

ii) Siamo gli ultimi

L’universo è in essere da qualcosa come 13 miliardi di anni, l’uomo è comparso quando? Un centinaio di migliaia di anni fa? E in quel battito di ciglia, quante civiltà sono sorte e tramontate? L’universo ha visto nascere molteplici razze di successo, ma, com’è pronosticabile, ciascuna ha fatto il proprio tempo ed è andata incontro alla sua fine. We are the last to go.

iii) Matrix

Il primo contatto non è ancora avvenuto e mai avverrà. Siamo in una simulazione (dal fine imperscrutabile). Ci siamo solo noi, assieme ai nostri deliri.

Non siamo soli

i) ∞+

Il cosmo è semplicemente troppo vasto. Le distanze abissali (quasi) stroncano sul nascere ogni speranza di un incontro (nel breve-medio periodo); per di più, come se non fosse già abbastanza improbabile, l’universo è in continua e vertiginosa espansione.

ii) Snobbati

Pat pat umanità. Ah, da quando ci grattavamo nelle caverne… quanta strada abbiamo fatto! Ma che cosa saremmo agli occhi, o equivalente, di extraterrestri avanti mille, diecimila, centomila (o più) anni rispetto a noi? Suppongo che non ci terrebbero in grandissima considerazione.

iii) Igiene

L’interazione tra civiltà terrestri distanti nello spazio è stata spesso accompagnata dal germe della malattia: gli alieni sono consci dell’elevato rischio di contrarre morbi fatali, se mai venissero in contatto con un’altra specie. Preferiscono evitare di venire qui e stringerci la mano.

iv) Dalla parte sbagliata

La Terra è localizzata in un quadrante della galassia considerato dai più inospitale, ostile; la “festa” è altrove.

v) Scilla e Cariddi

Il mare cosmico brulica di insidie e pericoli tremendi, forze annientatrici – si pensi ai celebri buchi neri – , avvenimenti di una violenza e portata apocalittiche – come l’esplosione di una stella di neutroni – . Di conseguenza, il viaggio spaziale non deve essere tanto in voga; oppure, ci potrebbe essere un serio ostacolo di cui non siamo a conoscenza, lì da qualche parte, che “inghiotte” drasticamente la possibilità di una visita…

vi) Civiltà tipo 0

Scordiamoci una visitina o un messaggio di segreteria, nel breve periodo. Altro che civiltà aliene mega-iper-ultra avanzate, il club è in verità piuttosto omogeneo, composto da membri arretrati circa quanto lo siamo noi: se ne riparla fra qualche eone!

vii) We can’t

Siamo delle forme di vita costituite di materia, basate sull’elemento carbonio, organismi modellati qui nel contesto “Terra”, creature perciò calibrate a percepire determinate cose ma non altre, a interagire unicamente con una gamma ben precisa di stimoli. E.T. potrebbe rivelarsi più alieno di ogni più nostra fervida immaginazione; talmente alieno nella sua configurazione biologica, nella sua essenza, da esserci invisibile, inavvicinabile, trascendente.

viii) Su un piano differente

Tutto, presto o tardi, smetterà di funzionare: l’universo non fa eccezione. Anche l’universo ha le ore contate. Verrà il momento in cui esso consumerà la sua ultima “goccia” di joule, precipitando così nella più assoluta staticità e oscurità. Game over. Consapevole di questo orizzonte ultimo degli eventi, ineluttabile, una razza aliena lungimirante, che abbia seriamente a cuore il perdurare della propria specie, si prefiggerebbe l’ambizioso progetto di ideare una tecnologia capace di aprire una varco verso altri universi. Il successo in tale impresa vorrebbe dire avere accesso ad un numero forse infinito di universi (idonei o persino migliori di quello natio) dove emigrare. Se fossimo stati lasciati indietro?

ix) Cervello in una vasca

Ma forse spalancare portali extra-dimensionali è una seccatura troppo grossa, inoltre non è detto che tutti s’impuntino sul voler sopravvivere indefinitivamente. Prendete degli esseri che: a) abbiano trovato un modo per generare un quantitativo di energia a un tempo spropositato e costante; b) sappiano come copiare/trasferire la coscienza e abbiano a disposizione un simulatore virtuale da urlo; c) siano dotati di una forte, vorace spinta edonistica . Se mettiamo insieme il quadro, ne viene fuori una razza terribilmente assettata di sempre nuove esperienze piacevoli che decide senza troppe remore di andare irrevocabilmente “online” su delle macchine esaudisci desideri-fantasie che funzioneranno per molto ma molto tempo…

Concludo solo con due ovvie postille.

1) Le suddette ipotesi non hanno tutte il medesimo peso o la medesima plausibilità, alcune sono più sensate, convincenti di altre.

2) Esistono innumerevoli varianti per molte delle ipotesi; per non parlare poi delle possibili combinazioni che si possono operare fra di esse.

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La luce in fondo al tunnel è probabilmente il faro di un altro treno che si sta dirigendo verso di noi dalla direzione opposta.

Slavoj Zizek 

Quella luce in fondo al tunnel…

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AI: l’ascesa di un nuovo oracolo

AI: l'ascesa di un nuovo oracolo

AI: l’ascesa di un nuovo oracolo

Dall’alba dei tempi l’essere umano, messo di fronte all’evidenza della sua essenziale impotenza nel comprendere e gestire fino in fondo la caoticità del sistema mondo, ha avvertito il recondito bisogno di affidarsi a qualcosa o a qualcuno, il divino, la natura, di più grande di lui, che lo traesse fuori dall’oscurità epistemologica in cui di volta in volta si trovava inevitabilmente immerso: l’esito di una guerra importante, la durata di una tremenda carestia o, più genericamente e onnicomprensivamente, il fato in serbo. E qualora la rivelazione non fosse stata allineata, favorevole, agli interessi di parte, il passo consequenziale era quello di carpire a ogni costo il sapere atto a ribaltare l’avverso pronostico: in che modo assicurarsi la vittoria? che cosa fare per mettere fine alla penuria? come mutare il corso del destino? Insomma, è in noi intrinseco il desiderio, la smania anzi, di controllo, dominio, potere, che si esplica in un inesausto conato alla conoscenza.

E, come accennavamo, quando il sapere ricercato esulava dalle possibilità conoscitive dell’individuo o della comunità, e che pertanto non poteva venire attinto che per mezzo di un tramite speciale, ci si rivolgeva a figure ambivalenti quali quelle dello stregone, del santone, dello sciamano, del sacerdote, dell’oracolo; tutti soggetti accomunati dal fatto putativo di intrattenere un rapporto privilegiato con forze ed entità extramondane. Detentori di uno sguardo in grado di squarciare la cortina dell’imperscrutabile avvenire, custodi gelosi di conoscenze arcaiche e arcane, unici ponti tra la dimensione mortale dell’uomo e quella eterna della divinità. Essi erano oggetto di venerazione e nei loro confronti si riversava un misto di deferenza, meraviglia e timore, non per nulla si trattava di personaggi altolocati, al pari, se non più influenti delle figure regnanti: schiere e schiere pendevano dalle loro labbra, chi in cerca di risposte, chi di conferme, chi di conforto, chi di salvezza, chi di felicità, chi di speranze, chi di potere, chi di vendetta.

Con il passare dei secoli, dietro la spinta del progresso scientifico-tecnologico, ci siamo allontanati, senza malgrado emanciparcene totalmente ( si pensi alle sacche di superstizione rappresentate dall’astrologia e della cartomanzia), dal magico influsso proveniente dalla prospettiva di ricevere manforte da forze che in un modo o nell’altro trascendono la nostra natura di limitate creature umane. Ma sapete qual è il colmo? Per ironia della sorte, è esattamente dal pieno concretizzarsi del pensiero razionalistico, il quale ha messo in moto un processo di secolarizzazione su larghissima scala, che viene l’impulso generatore che darà avvio a una nuova era di superstizione (collettiva e istituzionalizzata), una che, diversamente dalle tradizionali superstizioni, non si fonderà su presupposti magici e soprannaturali ma su solidissime basi scientifiche, tecniche e informatiche.

Una superstizione/credenza/fede razionale, per quanto paradossale possa suonare…

E il nuovo oracolo, il nuovo Verbo, il nuovo Messia, prende il nome di “intelligenza artificiale” (comunemente riferito con l’acronimo inglese “AI“). Termine un tempo circolante esclusivamente tra gli addetti ai lavori è ora gergo di dominio e utilizzo anche da parte del grande pubblico. Alexa, Siri i casi più eclatanti di intelligenze artificiali entrate a far parte del quotidiano (per non menzionare i vari algoritmi che governano il corretto funzionamento e sostentamento dei colossi del web su cui al giorno d’oggi facciamo così tanto affidamento: Google, Facebook, Amazon, Youtube ecc. anch’essi annoverabili nella vasta e variegata categoria delle AI). Scettici che il vostro cellulare possa assurgere alla veste mitica di oracolo, e dispensarvi preziosi consigli su aspetti salienti della vostra vita? Be’, in effetti non è questa la casistica che ho in mente quando voglio tracciare il paragone tra la tecnologia AI e la figura dell’oracolo (anche se, a onor del vero, la scelta del partner non mi sembra una questione delle più triviali. Dico questo poiché da qualche parte ho letto di una ricerca che ha evidenziato come una discreta percentuale delle coppie formatesi negli ultimi anni abbiano avuto la loro origine in rete). Più che altro, mi riferisco ad AI alle dipendenze di pesi massimi del mercato economico mondiale, di laboratori di ricerca scientifica all’avanguardia, di importanti istituzioni finanziarie e, va da sé, AI di proprietà di governi e stati nazionali.

L’analogia AI-oracolo arriva tuttavia fino a un certo punto. Se è vero che l’oracolo, per una sorta di elezione divina, traeva il suo scibile in seno a una sorgente di natura metafisica, l’intelligenza artificiale riesce a fare quello che riesce a fare – fornirò qualche esempio in un secondo momento – per cause assai terrene e intelligibili, in un processo per nulla estroso o entusiasmante, ma che al contrario definirei banale e tedioso. Come viene alla luce un oracolo moderno? Per semplificare, dando in pasto a un programma una moltitudine esorbitante di dati, modelli, esempi (adeguati si spera) su cui “ruminare” e familiarizzare. Semplice e puro apprendimento via esperienza, in sostanza. Qualcosa che ci riesce bene, uno dei tratti caratteristici della nostra specie: imparare (per operare sempre più efficacemente sull’ambiente, sopravvivere, prosperare). Bravi senz’altro ma, com’è naturale che sia, oltre una data soglia cognitiva non possiamo proprio spingerci: come un dato motore è in grado di sprigionare solo un determinato numero di cavalli vapore, il cervello umano presenta dei limiti strutturali e funzionali e non è fatto per gestire ed elaborare contemporaneamente moli e moli di dati. È esattamente qui, dove noi dobbiamo cedere il passo, che entrano in gioco le macchine e ci fanno mangiare rapidamente la polvere: esse dispongono di una potenza di calcolo migliaia di volte la nostra – da prendere più come iperbole che come fatto assodato, comunque sia deve trattarsi quasi sicuramente di una proporzione non indifferente – (un divario che, neanche a dirlo, non cesserà di ampliarsi), che adibiscono interamente all’ultimazione (non stop) di uno scopo o gerarchia di scopi.

Come anticipato, il risvolto teorico che sta dietro il funzionamento delle cosiddette superintelligenze non posa su chissà quali nebulosi principi, anzi, ma, ciò nonostante, i frutti prodotti dal loro impiego sono certamente impressionanti. In ambito medico, abbiamo intelligenze artificiali capaci di rilevare e quindi diagnosticare (con perizia superiore a qualunque medico umano) in largo anticipo – cosa di notevole importanza – la formazione di cellule tumorali; nei trasporti, ci dirigiamo verso città e metropoli percorse da auto con a bordo solamente passeggeri; ai giochi strategici, da tavolo, quali scacchi e go, ormai non c’è più partita, ci hanno surclassati (se siete del parere che ciò non sia un granché significativo, ripensateci: sono contesti aperti a letteralmente milioni di variabili e possibilità!); accidentalmente, inoltre, contribuiscono all’arricchimento del nostro armamentario di conoscenze scientifiche, facendo nuove scoperte (qualche tempo fa, ho letto di un AI che setacciando, mettendo ordine a vari papers ovvero pubblicazioni accademiche, è riuscita a individuare la fattibilità di un nuovo tipo di materiale), il che è comprensibile: nessuno scienziato potrebbe, per quanto multidisciplinare e stacanovista, essere a conoscenza di tutte le nozioni, teorie (vecchie e nuove), dei dibattiti, delle ricerche (e relativi risultati) in corso nel mondo, nel proprio campo, figuriamoci in quello degli altri, e comunque sia, nessuna mente umana potrebbe mai e poi mai contemplare tale immensità (sempre crescente) di input disponibili…

Gradualmente, la componente AI permeerà ogni filamento del tessuto societario, umano, e da utile strumento potrebbe finire a elevarsi a imprescindibile presupposto al funzionamento e progredimento della civiltà umana in tutte le sue manifestazioni. Come nei confronti degli antichi oracoli, in questo ipotetico scenario, porremo una fiducia incondizionata all’autorità decisionale delle future intelligenze artificiali, delegheremo al loro giudizio ogni scelta di peso, sia a livello micro, individuale (il percorso di studi, la carriera lavorativa ecc.) sia a livello macro, collettivo (provvedimenti, regolamenti, leggi da adottare).

Siamo a cavallo di un epocale cambio di paradigma sociale, uno votato a un più che mai forte determinismo. Sono dell’idea che l’intelligenza artificiale abbia tutte le carte in regola per rivelarsi il propulsore di un benessere che di gran lunga valica ogni più nostra fervida immaginazione e aspettativa, e, verosimilmente, costituirà il nostro asso nella manica, la nostra ultima spiaggia nella risoluzione di problemi che semplicemente vanno al di là delle nostre possibilità. Ma ciò non toglie il fatto che tale tecnologia porterà con sé radicali cambiamenti, che, nel bene o nel male, stravolgeranno irrimediabilmente il nostro modo di vivere. E noi abbiamo il dovere morale di non distogliere lo sguardo, di stare all’erta: per far sì che ciò cui acquisiamo non comporti in cambio la perdita di qualcosa in verità molto più importante… d’altronde, è risaputo: oracoli et similia non di rado erano soliti esigere dei sacrifici (umani), anche in numero elevato…

Non scordiamo mai, infine, che il responso delle AI non è intrinsecamente infallibile ma può essere suscettibile a errori (sistematici). L’esecuzione di compiti e operazioni potrà pure essere perfetta, tuttavia, se le premesse sulle quali queste ultime poggiano sono anche solo parzialmente viziate, vuoi da pregiudizi, vuoi da fallacie logiche, ecc., ciò inficerà fatalmente sulla validità e sostenibilità dei risultati ottenuti.

E le premesse siamo noi.

Le AI amplificheranno esponenzialmente ciò che siamo: e se è vero che si raccoglie ciò che si semina, ebbene, ci conviene davvero, fin da subito, dare il buon esempio, letteralmente…

AI Oracolo

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Prima donne e bambini

Prima donne e bambini

Prima donne e bambini

Dare la precedenza alle donne e ai bambini nelle situazioni di emergenza, pericolo, durante le evacuazioni e i salvataggi; una nota linea di condotta di origine marinara – anche se, facendo qualche ricerca su internet, sembra alquanto trascurata nei naufragi – . Un gesto nobile, se frutto dalla propria volontà, in caso contrario, nient’altro che un sacrificio imposto; una discriminazione di genere (che indirettamente richiama  a sé quella femminile). Una discriminazione che si è ben impressa nel nostro sostrato psichico, questo grazie a una retorica martellante del “uomo forte/duro e della donna sesso debole/gentil sesso” che si perpetua da Dio solo sa quanto, sotto le più svariate forme espressive e convenzioni sociali.

Tutto comincia già alla nascita con l’associazione del colore blu/azzurro ai maschietti e del colore rosa alle femminucce. Lungi dall’essere mera attribuzione di sesso, sarà “bandiera” dei tanti meccanismi sociali e culturali che portano a estremizzare le differenze biologiche che intercorrono fra l’ uomo e la donna, imponendo a entrambi  prerogative specifiche. Forza, orgoglio e razionalità, da una parte; delicatezza, passione e modestia, dall’altra: l’impostazione di una netta opposizione, manichea, tra due universi umani.

Detto ciò, all’origine di atteggiamenti del tipo “prima le donne e i bambini” è palese l’influsso di narrazioni che vedono nella donna un fiore tanto incantevole quanto cagionevole (che quindi necessità di premura e protezione, di salvezza) – per quanto concerne la priorità concessa ai bambini, più che a un prodotto culturale siamo, credo, di fronte a uno evolutivo – : il topos della damigella in pericolo/fanciulla da salvare: protagonista femminile impotente la cui felicità e il cui benessere futuri sono integralmente derivanti e subordinati dall’agire di un impavido ed eroico protagonista maschile. Un motivo di vecchia data, che dovrebbe risalire almeno alla Grecia antica (prendendo per buono quanto riportato da Wikipedia); emblematica è l’ambientazione medioevale con valorosi cavalieri che soccorrono innocenti principesse dalle grinfie di draghi malefici. Di vecchia data ma tuttora piuttosto adoperato, come si può facilmente constatare…

L’introiettamento di questo stereotipo, che nel nostro tempo avviene preponderatamente attraverso la fruizione di film e telefilm, è pressoché una certezza matematica; ed esso si fa agevolmente strada, si insidia subdolamente dal mondo della finzione a quello della realtà. Ecco dunque la donna come soggetto passivo, al massimo reattivo, fragile e pertanto bisognoso della massima tutela e del massimo accudimento da parte dell’uomo, soggetto attivo, creativo, forte.

Donna = vittima della situazioneUomo = eroe della situazione

Immersi nella narrazione, inconsciamente, l’uno è indotto ad aspettarsi dall’altro quanto previsto dal “ruolo” che ricopre, ad adeguarsi al proprio, di ruolo, e a comportarsi di conseguenza: un gioco delle parti. Un gioco che però può divenire malsano, tossico. In generale, da un lato si corre il pericolo di limitare le potenzialità della donna, degradando l’orizzonte delle sue possibilità percepite e reali, rendendola  effettivamente debole; dall’altro, di portare al sovraccarico mentale e/o emotivo l’uomo, sottoponendolo alla costante pressione di mirare alla figura mitica del “vero uomo”.

A non concedere adito alla vera natura dell’individuo non può venirne fuori niente di buono, ma solo miseria e infelicità.

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Se cessiamo di procedere con la vita, tendiamo a regredire verso modi di adattamento immaturi/infantili, e questa regressione in risposta al conflitto genera vari sintomi di nevrosi (ansia intensa, fobie, comportamenti compulsivi, apatia, pensieri ossessivi e invadenti); ma per quanto sgradevoli questi sintomi possano essere, essi svolgono un’importante funzione: ci allertano del fatto che stiamo discendendo verso un sentiero di vita pericoloso, poiché mentre regrediamo psicologicamente la nostra maturazione fisica non si arresta e un’occhiata allo specchio ci rammenta che non stiamo tenendo il passo con le stagioni della vita, che scorre in una marcia inesorabile. Più rimaniamo in questo stato di conflitto, meno adeguati ci sentiamo e il circolo vizioso prende il sopravvento, ove la ritirata dalla vita conduce alla regressione, e la regressione acuisce la resistenza alla vita. 

Carl Jung – La Teoria della Psicoanalisi

Regressione

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Su le mani!

Su le mani!

Su le mani!

Tempo fa, una sera, facendo zapping, mi sono imbattuto, con mia viva sorpresa, nel buon e vecchio Dragon Ball Zun eterno ritorno – . Nel nome dei bei tempi andati ho deciso di guardarmi l’episodio in onda. È quello in cui l’orgoglioso, in passato spietato, principe (re?) della fiera razza dei combattenti Saiyan Vegeta, costretto dall’abissale superiorità della terribile macchina gomma-rosa (Big Bubble?) di cosmico annichilimento Majin Bu, chiede incalzante ma invano l’aiuto dei terrestri, li ingiunge spazientito, a più riprese, di contribuire, una buona volta, alla salvezza del pianeta, del loro pianeta e quindi anche di loro stessi, dell’umanità.

Non vengono richieste dodici fatiche erculee da compiere, bisogna solamente levare le mani al cielo, donando così parte della propria energia vitale (dopo ci si sente stanchi come avendo fatto una corsetta, tutto qui), che viene destinata ad alimentare l’energia sferica di Goku, l’ultima carta da scagliare contro il già menzionato mostro rosa.

Ecco, basterebbe poco, un nonnulla per salvare le sorti non solo del mondo, ma dell’intero universo: su le mani e altolà al sudore! – scusate, ma non ho resistito – Ma nulla da fare. Non c’è verso. “Non mi fido“, “Deve essere uno scherzo“, “Chi ti conosce?“, “Non ne ho voglia“, “Che fastidio, lasciami in pace!“: questo il clima, la reazione generale della gente, dell’umanità, che poi immediatamente sprofonda nella più assoluta indifferenza.

Mentre (ri)guardavo tutto questo, me la sono risa sotto i baffi: non ho potuto fare a meno di intravedere un che di tremendamente familiare in quel quadro tragicomico; un parallelismo sconcertante con la vera umanità: non vi è differenza. Mi sbaglio forse?

Di spade di Damocle pendenti minacciose sul nostro capo non siamo di certo a corto, ma prendiamo l’emblematica lama della catastrofe ecologica, che basta e avanza…

Il nostro influsso si fa sentire eccome, l’ambiente Terra sta lentamente ma sistematicamente andando in malora, questo già da decenni e decenni, lo sappiamo e lo abbiamo sempre saputo ma sia individualmente che collettivamente abbiamo fatto e facciamo veramente poco a riguardo: pare che non si un nostro problema; non ci interessa. “Sarà vero?“, “Non ci credo“, “Vabbè…!“, “Non è affar mio“, ““.

Ma torniamo da Goku e i suoi amici.

La situazione è disperata, l’umanità ha voltato le spalle ai suoi veri eroi, Majin Bu da un momento all’altro avrà la meglio. Sembra ormai finita, quando il “Campione del Mondo di Arti Marziali”, l’imbroglione dal cuore tenero, Mr. Satan, riesce a persuadere il genere umano tutto ad alzare le benedette mani al cielo.

Il potere congiunto dell’umanità sconfigge Majin Bu.

Dov’è il nostro Mr. Satan? Ne abbiamo uno spropositato bisogno…

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