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There’s more than meets the eye

There is more than meets the eye

There’s more than meets the eye

No, non mi viene in mente un corrispondente italiano che riesca con eguale icasticità a comunicare ciò che voglio comunicare…

Per chi non fosse proprio ferrato in inglese, è una frase idiomatica traducibile con “c’è sotto qualcosa“, “c’è dell’altro“.

Ma sotto a che cosa? dell’altro rispetto a che cosa?

A tutto, in pratica.

Ma, per convenienza, demarchiamo il discorso a noi stessi. Allorché i miei occhi “incontrano” l’altro, ne apprendo istantaneamente la fisicità: la costituzione corporea, la fisionomia dei tratti, l’espressione del volto, che a suo volta può illuminare, per sommi capi, l’interiorità: l’umore, lo stato d’animo corrente; sennonché, giustappunto, there’s more than meets the eye… un qualcosa, dell’altro, che non possiamo aspettarci di rischiarare con un semplice sguardo.

Avete presente il detto: “Se solo queste mura potessero parlare” (con cui si allude alla caterva di avvenimenti che hanno avuto luogo in un determinato posto, del quale le pareti sono le testimoni simboliche)? Ecco, è esattamente lo stesso con noi: se solo le nostra pelle (?) potesse parlare, se i suoi innumerevoli pori potessero emanare e rendere perspicuo, palpabile, il vissuto, quel fagotto invisibile, sempre più stipato, che necessariamente ci portiamo appresso, fatto di un miscuglio unico di esperienze, vicende, azioni, relazioni ecc; che hanno concorso a plasmare gli individui che oggi siamo.

Ricordate, la prossima volta che i vostri occhi si poseranno su un oggetto – meglio se un minimo datati – , una costruzione, su un altro essere umano: THERE’S MORE THAN MEETS THE EYE! e che – ci metterei (quasi) la mano sul fuoco – vi sarebbe almeno un fatto che saprebbe lasciarvi a bocca aperta e con gli occhi sgranati, dallo sbalordimento…

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Perché c’è qualcosa anziché niente?

Perché c'è qualcosa anziché il niente

Perché c’è qualcosa anziché niente?

Sia chiaro, non mi lamento minimamente  della situazione: che noia sarebbe, se fosse il “niente” a imperare incontrastato? Su questo punto dovremmo andare tutti a braccetto, ma il punto interrogativo rimane: perché le cose stanno così? Avverto che la risposta “perché Dio la voluto” non mi soddisfa; uno poiché non sono religioso, due perché l’articolo risulterebbe fin troppo stringato, anche per i miei standard…

Generare (qualcosa) richiede attività, energia, è un processo, e i processi si articolano in singoli stadi che necessitano ognuno il soddisfacimento di specifiche condizioni materiali, della giusta dose di interazioni con dei “qualcosa”, affinché un qualcosa possa emergere. Perciò mi domando: non sarebbe più semplice, comodo, probabile, la non-generazione, l’inesistenza, il Niente? Ma ecco la Realtà, con tutta la sua inafferrabile e stupefacente complessità; che lo sconquasso che è stato il Big Bang fosse un accadimento intrinsecamente  cogente al tessuto costitutivo della Realtà?

La Natura sembra affetta da horror vacui, ancora meglio, da un’insanabile horror nihil (e per fortuna!). La scienza ha rivelato come lo spazio, e ciò comprende anche il siderale vuoto cosmico, non importa quanto deserto e desolato in apparenza si presenti (potremmo pure, ipoteticamente parlando, svuotarlo di ogni elemento, fino al livello subatomico), non è mai effettivamente vuoto: ogni istante, dal “niente”, si materializza un calderone quantistico di quasi impercettibili particelle e anti-particelle che, con la stessa fulminea velocità con cui vengono a esistere, si annichiliscono scontrandosi a vicenda, rilasciando un lampo di energia; che a quanto pare può scaturire nella creazione di un universo…

Tutto sommato non c’è da stupirsi… l’Essere devo con tutte le sue forze aborrire e ostracizzare il Niente, ne va della sua stessa esistenza. Ma se al Niente non è concesso di esistere, di conseguenza la morte non…!?

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