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Un buon soldato non è un buon essere umano

Un buon soldato non è un buon essere umano

Un buon soldato non è un buon essere umano

Ancora non ho individuato la professione alla quale attribuire la mirabolante qualificazione di “lavoro dei miei sogni“, ma posso senz’altro affermare che quella del soldato è da escludere a priori. Sia ben chiaro, a scanso di equivoci, non ho nulla contro la categoria; il mio disappunto, la mia critica hanno a che fare con il concetto stesso di soldato, che trovo problematico, essenzialmente incompatibile con ciò che (di buono) fa di un essere umano un essere umano.

Dicesi un buon soldato un soldato che esegue gli ordini alla lettera, senza fiatare, senza batter ciglio, quali che essi siano; Dicesi un buon soldato un soldato che pone la buona riuscita della missione assegnatagli sopra ogni altra cosa o considerazione. Abbiamo pertanto un essere umano che da pensante, autonomo, si fa “facente“, subordinato; un essere umano che ammutolisce la propria coscienza e depone la propria volontà per tramutarsi in mero strumento (di violenza e di morte, primariamente).

Lo status ontologico (umanamente compromesso) del soldato è riassumibile nella gravosa parola “dovere“, che qui soppianta, senza riguardo alcuno, le componenti del pensare e del sentire proprie di un essere umano dignitoso.

Il soldato incarna il dovere stesso: è il dovere fatto a persona; più precisamente, il dovere verso la patria.

Un soldato deve combattere(ammazzare)per la patria.
Un soldato deve sacrificarsi(gettare la propria vita)per la patria.
Per la patria(superbia, brama, inettitudine di uno, di pochi).

Un buon soldato non può essere un buon essere umano.

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Senza idoli

Senza Idoli

Senza idoli

Se mi chiedessero che cosa di me maggiormente si discosta dall’essere comune, la mia risposta sarebbe: non ho idoli (fatti di carne e ossa).

Viviamo forse nell’epoca di massimo splendore dell’idolatria di massa, mai come adesso un individuo è messo nella possibilità di raggiungere un così spropositato e sempre crescente numero di persone; altro che crepuscolo degli idoli…
Ma il mio essere sprovvisto di idoli – bisognerebbe coniare una parola apposita – è un fatto che precede l’avvento dei social media, è bensì, per dirla meglio, una condizione che perdura da quando ne ho memoria.
Attori, registi, sportivi, cantanti, scrittori, intrattenitori, politici: nessuna categoria di celebrità pare in grado di fanatizzarmi; posso apprezzare, lodare, rimanere meravigliato – ci mancherebbe – , ma mai venire sedotto a tal punto da divenire un ammiratore, un sostenitore, un patito, un fan(atico). Charme e bravura come e quanto vuoi, è irrilevante: con me la cosa del very important people non attacca.

A essere sinceri, finora non ho mai fatto caso a questa mia anomalia(?) , solo di recente essa è fuoriuscita alla luce della consapevolezza e devo dire di esserne leggermente rimasto sorpreso io stesso… Ma perché questo? Mi sono interrogato a più riprese.

Misantropia? No, non serbo rancore nei confronti della società o del genere umano.

Apatia? No, come ho già spiegato, posso benissimo rimanere colpito/coinvolto dal prossimo.

Superbia? Non credo, non vedo presupposti che la giustificherebbero.

Non so. Forse è in me assente o inattivo il gene (se mai esiste qualcosa di simile) del feticismo. Proprio non vengo abbacinato dall’aura della “specialità” di cui i più cadono facilmente preda. Quello che i mie due occhi riescono a vedere sono unicamente persone, esseri umani, ognuno dei quali saturo di virtù e di vizi, di sogni e di paure, di gioie e di dolori. 

O chi lo sa magari, più semplicemente, ancora devo incappare in chi mi saprà irretire per bene…

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