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La fine del mondo

La fine del mondo

Da piccolo avevo la seguente convinzione: quando fossi morto, anche il mondo avrebbe cessato di esistere insieme a me (altro che ogni uomo è un isola…); ovviamente non si trattava di un pensiero formalizzato, ma di una sensazione che ricalcava questo credo.

Già, forse a quei tempi ero un tantino egocentrico o, dal momento che identificavo il mio essere con il tutto, sarebbe corretto dire, chessò, “egopanteico“. A ogni modo ne ero completamente dissuaso. E perché non avrei dovuto? D’altronde, è talmente facile scivolare nell’illusione di essere i protagonisti indiscussi del presente in cui siamo immersi, spontaneo come una volta sedutisi su un altero trono di spade o giunti in cima al maestoso Everest.

Non siamo forse immancabilmente noi l’origine di ogni nostra percezione della realtà*?

Per Cartesio era: “Penso dunque sono”; Per me era, si potrebbe dire: “Penso dunque sei”*.

Ora non sono più di questo drastico avviso, ma in un certo senso penso ancora che il mondo non esca indenne dalla morte dell’individuo…

Ciascuno di noi è un agglomerato di esperienze, attitudini e sentimenti in sé unico e irripetibile, il quale costituisce a sua volta un’unica e irripetibile rappresentazione del mondo. E quando una “concentrazione vitale” viene a mancare: il mondo perde inevitabilmente parte della sua ricchezza, della sua interezza.

Un ragionamento troppo antropocentrico? È buffo, però, notare il fatto che, in sostanza, la mia idea originaria è rimasta pressoché inalterata: sono soltanto passato da una superbia circoscritta a una di genere universale…

 

 

* Fonte: Ergo Proxy

La fine del mondo

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