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Vu-jàdé

Vu-jàdé

Vu-jàdé

Vu-jà…che!? Ha tutta la sonorità di un’oscura formula magica, di un maleficio sibilato da sinistre e ipnotiche labbra di sciamano/stregone durante un rito esoterico, vero? Trattasi invece della parola che si ottiene ribaltando l’inflazionata espressione déjà-vu, ma, fidatevi, non per questo essa è meno irreale siccome, come è facile intuire, il capovolgimento di reale interesse non sta in quello banale, delle lettere, bensì in quello del senso.

Il déjà-vu è roba già vista… È quel presentimento che fa: “Aspetta un momento… io questo l’ho già visto, sentito, vissuto!“. L’esatta replica di una scena pregressa, ma che non riusciamo a collocare temporalmente; una fugace intersezione tra due piani che dovrebbero essere paralleli: sogno e realtà. Un’esperienza dai contorni paranormali, un’anomalia, che ci prende di perfetto contropiede e che, come farebbe un taser, ci immobilizza per una manciata di secondi, nei quali, sconcertati, cerchiamo di ristabilire il flusso della normalità.

Déjà-vu

In che cosa consiste dunque il mai sentito vu-jàdé – per la scoperta si ringrazia Rick Dufer – ? Esso a due possibili manifestazioni, una estraniante, patologica, e l’altra vivificante, salubre.

Nella prima tipologia di vu-jàdé (di “nauseante” memoria) siamo sperduti in terra natia. Ci troviamo davanti a qualcosa che i nostri occhi dovrebbero riconoscere anche da serrati, ma è come  se quel qualcosa fosse mutato irrimediabilmente: ora è altro, alieno.

Nausea

Un’esperienza impressionante.

Pensate a un navigato lupo dei sette mari che fin dal rango di umile mozzo sia avvezzo, nel cuore tenebroso della notte, a scrutare il terso cielo stellato, privilegio di chi come lui decide di consacrarsi alla distesa blu. Egli conosce a menadito il nome di ciascun puntino luminoso e relative costellazioni, la sua prediletta? L’orsa polare; fedele guida di mille traversate. Immaginate che, in una nottata che di fuori dell’ordinario nulla lascia presagire, il nostro uomo, nell’atto consuetudinario di levare lo sguardo alla volta celeste, non riconosca più la sua compagna: ai suoi occhi ora emana una luce differente, anzi, non è più luce quella che emana…

Stella polare

La seconda varietà di vu-jàdé si situa decisamente sul lato spensierato della bilancia. Esso si verifica quando riusciamo a squarciare lo spesso velo dell’iterazione cognitiva. roba non da poco, assolutamente.

Iterazione cognitiva

Il cervello è alquanto incline a mummificarsi alla prime impressioni che riceve, una volta che “vede” qualcosa in un modo, quella particolare prospettiva taglierà fuori il resto e avrà il monopolio interpretativo sugli incontri che seguiranno.

Quanto non conosciamo…e quello che presumiamo di conoscere!

Occasionalmente, però, ci può capitare di venire folgorati di una rivelazione che ci consente di guardare al mondo con lenti nuove. La matita che sto impugnando – proprio così, scrivo su carta – , quante volte l’avrò veduta, utilizzata? A occhio e croce un numero sulle migliaia. E cos’è stata per me? Come per tutti, credo, un bastoncino di legno con un’estremità appuntita a base colorante, che permette di tracciare linee; ma, a rifletterci, può essere molto di più: le linee che scaturiscono da questo semplice strumento, possono dischiudere infiniti universi di significato, cambiare il corso di un’esistenza, aiutarci a esplorare ciò che giace dentro ognuno di noi, a tirarlo fuori.

matita

E se qualcosa di ordinario come una matita può contenere tale supplementare abbondanza, provate a pensare a quanto di inatteso e sorprendente potenzialmente ci circonda…

guardare al mondo con lenti nuove

Auspico, perciò, a chiunque, tanti, tanti vu-jàdé (naturalmente del secondo tipo)!

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