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Possiamo tutto

Possiamo tutto

Possiamo tutto

Non sei portato… Ti manca la stoffa… Non hai il talento.

Mai furono pronunciate parole più devianti nel loro recepimento quanto depredanti nel loro impatto…

La narrazione della vulgata si presenta di una semplicità disarmante, riassumibile nella sentenza: ci nasci o niente da fare, amen. Se siamo o non siamo capaci di qualcosa, ciò è un fatto che esula aprioristicamente e totalmente dal nostro potere.

È tutto scritto nelle stelle (vecchia versione). È tutto codificato nei geni (nuova versione).

Ma com’è partorita questa distorta interpretazione della bravura quale unico risultato del fortuito possesso di un dono naturale? Presumibilmente, nel rapportarsi a individui con ben definite capacità: 1) a cagione dell’inclinazione mentale a presumere lo stato attuale delle cose – quivi le abilità dimostrate – come da sempre vigente. 2) Per via, banalmente, della palese sussistenza e immediata constatazione di un’asimmetria qualitativa rilevante. In tal senso, i popolari talent show – ma che sarebbe consono chiamarli skill show – sono l’estrema rappresentazione di questa dinamica psicologica/cognitiva, in quanto in essi lo spettatore è ripetutamente intrattenuto e strabiliato da una carrellata di esibizioni “talentuose” di vario genere e tipo, le quali possono delle volte lambire il confine (poco documentato) delle umani possibilità.

Ora, è questa una filippica, contro il talento, inveita da una persona livorosa poiché giunto alla penosa e deludente consapevolezza della propria limitante mediocrità? No (seppur non è certamente da escludere che io sia privo di un qualsivoglia discreto talento). Allora voglio forse propugnare che il talento non esiste? No di certo; sarebbe sciocco e alquanto inutile rinnegare l’ovvia esistenza di propensioni individuali verso particolari attività fisiche e mentali. No, io mi scaglio contro quella travisata credenza popolare che con ingiustificato sprezzo presuppone il talento la conditio sine qua non che fatalmente determina l’acquisibilità di una capacità da parte di un soggetto.

Quello che sto per dire potrebbe rivelarsi uno “shock” però udite udite: non è “L’indispensabile è il talento e l’impegno non guasta di certo” ma “L’indispensabile è l’impegno e il talento non guasta di certo (può farti risparmiare tempo ed magari elevarti una spanna sopra gli altri)”. La si è, purtroppo, intesa al rovescio… È davvero così audace ed eccentrico il pensiero secondo cui un qualche cosa di possibile per un essere umano è anche possibile (non per forza nello stesso grado) per un altro essere umano suo simile?

Non mi sembra un volo dell’immaginazione  sostenere che a un maggior investimento (sapiente) di tempo ed energie in una cosa, corrisponda una maggiore dimestichezza, abilità in quella cosa.

Sicché possiamo tutto.

A patto di cimentarsi in un rigoroso impegno programmatico, vale a dire una/o pratica/studio corretta/o (nel metodo), abitudinaria/o (divenendo una “seconda natura”, come direbbero gli anglofoni) e prolungata/o (in mesi o anni), non vi è arte o capacità che non possa infine venire assimilata e per giunta padroneggiata.

Aspettate però a consacrare la vostra vita alla mira di scendere sotto i 9″58 nei 100 m piani – che peraltro rientra in quella casistica di prodezze imprescindibili dal possesso di specifiche dotazioni fisiche – o a quella di formulare una definitiva e unificante teoria del tutto… Il messaggio di fondo non consiste nell’affermare che chiunque può diventare il nuovo Bolt o il nuovo Einstein, ma piuttosto che chiunque in linea di principio può diventare un velocista (anche buono), chiunque può diventare un fisico (anche buono).

Malgrado ciò, ho la netta sensazione che a molti suoni come una tesi sgangherata e più che mai pretenziosa. Purtuttavia, ripeto, non ritengo violi chissà quale legge di natura e tantomeno si tratti di vacue parole, una pia illusione figlia di un pensare positivo naïf e sentimentale. Un serio impegno programmatico può dare tantissimo, è vero, ma, anzitutto esige tantissimo! Niente di meno che una determinazione adamantina e una mostruosa abnegazione del proprio tempo: immaginate la disciplina, la forza di volontà occorrente a dedicarsi, come si suol dire, anima e corpo a un’attività n ore al giorno, anche ogni giorno, per mesi, anni o decenni. Vi pare poca cosa? (L’ho trovate una regime forsennato, da matti? Beh, è così: la via della grandezza è segnata dall’ossessione)

Al pari di cellule staminali totipotenti – che hanno in potenza tutti i tipi di cellula – possiamo specializzarci in tutto, possiamo essere ciò che intendiamo essere.

Riposto nelle nostre mani vi è più di quanto ci è dato di credere.

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Le masse non si rivoltano mai di propria spontanea volontà, ed esse non si rivoltano mai semplicemente perché sono oppresse. Per la verità, fino a quando non è dato loro di avere una pietra di paragone, esse non arrivano neanche a rendersi conto di essere oppresse.

George Orwell – 1984

Pietra di paragone

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Un buon soldato non è un buon essere umano

Un buon soldato non è un buon essere umano

Un buon soldato non è un buon essere umano

Ancora non ho individuato la professione alla quale attribuire la mirabolante qualificazione di “lavoro dei miei sogni“, ma posso senz’altro affermare che quella del soldato è da escludere a priori. Sia ben chiaro, a scanso di equivoci, non ho nulla contro la categoria; il mio disappunto, la mia critica hanno a che fare con il concetto stesso di soldato, che trovo problematico, essenzialmente incompatibile con ciò che (di buono) fa di un essere umano un essere umano.

Dicesi un buon soldato un soldato che esegue gli ordini alla lettera, senza fiatare, senza batter ciglio, quali che essi siano; Dicesi un buon soldato un soldato che pone la buona riuscita della missione assegnatagli sopra ogni altra cosa o considerazione. Abbiamo pertanto un essere umano che da pensante, autonomo, si fa “facente“, subordinato; un essere umano che ammutolisce la propria coscienza e depone la propria volontà per tramutarsi in mero strumento (di violenza e di morte, primariamente).

Lo status ontologico (umanamente compromesso) del soldato è riassumibile nella gravosa parola “dovere“, che qui soppianta, senza riguardo alcuno, le componenti del pensare e del sentire proprie di un essere umano dignitoso.

Il soldato incarna il dovere stesso: è il dovere fatto a persona; più precisamente, il dovere verso la patria.

Un soldato deve combattere(ammazzare)per la patria.
Un soldato deve sacrificarsi(gettare la propria vita)per la patria.
Per la patria(superbia, brama, inettitudine di uno, di pochi).

Un buon soldato non può essere un buon essere umano.

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Rivedendo la formula consuetudinaria per una vita sana, oltre all’accoppiata dieta varia – moderato esercizio fisico: porre e porsi domande.

Alimentare costantemente il fuoco della curiosità, indagare e non fermarsi all’immediato, mettere in discussione e non prendere per oro colato il dire altrui e il sentire nostro, essere critici prima di tutto con noi stessi. E nell’atto cruciale di puntare la lente inquisitoria su di noi, una domanda ritengo essere di capitale, di vitale importanza; forse la più importante che possiamo e dobbiamo (per il nostro bene), ciclicamente, con il cuore in mano porci: che sto combinando, della mia vita? Sto conducendo una vita che mi appartiene, o sto vivendo una vita dettata e modellata dalla volizione e dalle ambizioni di altri? La mia vita sta scorrendo cieca per puro moto d’inerzia, o è da me attivamente sospinta verso una meta ideale? Le scelte che ho intrapreso sono in sintonia con il mio essere, o sono, a un livello fondamentale, incompatibili con esso? ovvero: lo stato attuale delle cose è promotore di un ottundimento o rinvigorimento delle mie qualità? sto prosperando, avvizzendo?

Capite bene la MAGNITUDINE di tale analisi introspettiva; non desta affatto meraviglia che in pochi siano i temerari di spirito disposti a sottoporsi al più brutale degli interrogatori: non è proprio un piacevole quarto d’ora – o almeno per i più – quello speso al banco degli imputati, specie se l’udienza si propone di vagliare obiettivamente lo status della nostra esistenza…

Un sentore di pungente amarezza nell’aria, premonizione di sofferenza.  E perciò si fugge dalla domanda, la si getta, zavorrata a dovere, nel fiume dell’oblio, per impedire che essa possa riaffiorare alla superficie della coscienza, al cospetto dei nostri fragili pensieri. Un atteggiamento comprensibile. Al pari della reazione autoconservatrice che spinge la mano ad allontanarsi di scatto da una fonte eccessiva di calore, quando l’integrità psicologica di una persona è messa a repentaglio, la reazione istintuale è quella di sottrarsi dalla fonte che innesca il penoso travaglio interiore. Ma per quanto nell’immediato evitare il confronto ci possa sembrare il corso d’azione più desiderabile, poiché ci consente di mantenere un’apparente serenità, non ci sono ombre sul fatto che ciò è fallimentare, se non tragico, nel lungo periodo: tranquillo oggi, disgraziato domani. Non c’è allora alternativa. Se realmente intendiamo scongiurare l’evenienza di una catastrofe esistenziale, dobbiamo per forza di cose scomodarci, di tanto in tanto, a fare il quadro onesto e veritiero della situazione in cui versano le nostre vite e, se necessario, modificarne prontamente la traiettoria

Coraggio. Radunate tutto il coraggio e la forza di cui siete capaci: il futuro voi stessi ve ne sarà eternamente riconoscente!

Una domanda importante

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Tutti i più sapienti istitutori e maestri sono d’accordo nel dire che i fanciulli non sanno perché VOGLIONO; ma anche i grandi, simili ai fanciulli, barcollando su questa terra e, come quelli che non sanno donde vengono e dove vanno, non agiscono secondo uno scopo determinato e si lasciano governare da biscotti e dolci e vergate; questo invece nessuno lo vuol credere, eppure a me sembra sia una verità da toccare con mano.

Johann Wolfgang von Goethe – I dolori del giovane Werther

Grandi e fanciulli

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Libero arbitrio

Libero arbitrio

Francamente, non riesco a comprendere cosa vogliano dire le persone quando parlano della libertà del volere umano. Percepisco, per esempio, che ho volere di qualcosa o  di altro; ma quale relazione questo abbia con la libertà, proprio non lo capisco. Avverto il volere di accendere la mia pipa e lo faccio; ma come posso connettere questo con l’idea di libertà? Che cosa c’è dietro l’atto volitivo di accendere la pipa? un’altro atto volitivo? Schopenhauer disse una volta: “l’uomo può fare ciò che vuole, ma non ha volere su ciò che vuole”.

Albert Einstein

Agli  albori della mia attività speculativa – passatemi con indulgenza il termine-, qui su wordpress (cade a momenti il terzo anniversario de La Cosa In Sé), avevo indagato sull’arcaico quanto onni-suggestivo concetto di destino; inizialmente assecondando, per gioco, con una sospensione dell’incredulità, la sua narrativa mitologica di ordito ineluttabile che domina l’universo, concludendo poi in un più sobrio realismo, con la considerazione che solamente il duo antitetico nascita-morte può qualificarsi come destino, inteso come fatto inalterabile e fuori dal nostro volere e controllo, mentre il corpo centrale della nostra esistenza è sottoposto, nei limiti del possibile, al libero arbitrio di ognuno di noi. Una visione che tutto sommato reputavo sostenibile e risonante al sentire comune: la vita ci prescrive delle clausole imprescindibili , ma questo non toglie il fatto che siamo provvisti di voce in capitolo, nella stesura della nostra biografia.

Ma il “destino” ha voluto che incappassi in uno dei proponenti di maggiore spicco della tesi che proclama l’inconsistenza della nozione di libero arbitrio, contrassegnandola come un’illusione. Si tratta dell’eloquente Sam Harris, il conosciuto sosia di Ben Stiller -in Italia ho i miei dubbi -, filosofo, neuroscienziato e saggista americano.

Leggere il suo libretto, succinto sì, ma per niente insulso, Free Willè stato davvero un’esperienza folgorante, che ha cambiato una volta per tutte le carte in tavola: a sfavore del libero arbitrio. Altolà! Restate boni un secondo prima di strapparvi le vesti dallo sdegno e con la bava alla bocca, e sparare a zero su una posizione che stimate categoricamente inammissibile. Abbiate la pazienza, la maturità, l’ampiezza mentale per ascoltare, con onestà intellettuale, le argomentazioni addotte dalla “fatale” corrente di pensiero dell’inesistenza del libero arbitrio; e chi può dirlo, forse, come me, muterete idea in merito… Ma non è questo l’importante: l’importante è mettere in discussione le proprie idee e convinzioni, per non cadere in un assopimento di coscienza e conoscenza.

Free Will

Procederò riportando, dall’opera di Harris, i passi secondo me più incisivi, che riassumono e racchiudono meglio l’asserzione dell’autore, e alla fine cercherò di “salvare la situazione” alla luce della “terribile” verità (comunque consiglio vivamente di leggere per intero Free Will; poiché, chiaramente, un semplice articolo non potrà in nessun modo sperare di rendere completamente giustizia della totalità del libro)…

I sostenitori del libero arbitrio si aspettano che l’agire umano debba magicamente innalzarsi al di sopra del piano della causazione fisica.

Sam Harris – Free Will

Indubbiamente si tratta di una superstizione che sentiamo assai viscerale e che accogliamo al volo, senza tanto riflettere, come un meccanismo di difesa, perché ci figuriamo il peggio se inseriamo l’agire umano nella naturale catena causale.

Prendetevi un momento per pensare al contesto nel quale avverrà la vostra prossima decisione: non avete scelto i vostri genitori o il tempo e il luogo della vostra nascita. Non avete deciso il vostro sesso o la maggior parte delle vostre esperienze di vita. Non avete avuto il benché minimo controllo sul vostro genoma o sullo sviluppo del vostro cervello. E adesso il vostro cervello sta facendo delle scelte basandosi sulle preferenze e convinzioni che sono state martellate in esso nel corso dalla vita – dai vostri geni, dal vostro sviluppo fisico, dal momento in cui siete stati concepito, e le interazioni che avete intrattenuto con altre persone, eventi e idee. Dove sta la libertà in questo? sì, siete liberi di fare qualunque cosa vogliate, anche in questo stesso istante. Ma da dove sono provenuti i vostri desideri?

Sam Harris – Free Will

Cosa farò di qui a un secondo, e perché, rimane, fondamentalmente, un mistero – uno che è pienamente determinato dallo stato antecedente dell’universo e dalle leggi della natura (includendo i contributi del caso).

Sam Harris – Free Will

Dichiarare la mia “libertà” equivale a dire: “non so perché l’ho fatto, ma è il genere di cosa che tendo a fare, e non mi dispiace farlo”. L’espressione “libero arbitrio” descrive cosa si prova nell’identificarsi con certi stati mentali nell’attimo in cui sorgono nella coscienza.

Sam Harris – Free Will

Considerate cosa effettivamente sarebbe richiesto per avere libero arbitrio. Dovrete essere consapevoli di tutti i fattori che determinano i vostri pensieri e le vostre azioni, e dovreste avere un completo controllo su quei fattori. Ma qui vi è un paradosso che vizia la stessa nozione di libertà – poiché, cosa influenza le influenze? Altre influenze?

Sam Harris – Free Will

Fin qui parrebbe sì, che il caro libero arbitrio non sia poi tanto libero da influenze esterne e interne (geni, ambiente, esperienze, relazioni, cervello ecc.), ma ciò nonostante un minuscolo margine di libertà sopravvive, no? L’insieme delle circostanze mi possono addurre in prurito da matti al braccio, e questa spiacevole sensazione mi influenzerà innegabilmente ad agire in qualche modo, per trovare sollievo, ma per quanto lo stimolo a grattarmi risulti irrefrenabile, posso tuttavia decidere di stringere i denti e resistere indomito all’infernale solletico, fino alla sua spontanea scomparsa, giusto? Sfortunatamente, se vogliamo essere completamente sinceri, pure il grado di volontà a nostra disposizione, in ogni particolare momento, è il risultato di fattori interni e/o esterni, che in ultima analisi si manifesta nel cervello. Necessitate di una conferma supplementare? Allora l’esperimento di Benjamin Libet (il primo di una serie) fa al caso vostro.

L’attività nella corteccia motoria del cervello può essere captata circa 300 millisecondi prima che una persona avverta la sua decisione di muoversi.

Sam Harris – Free Will

In altre parole

Alcuni momenti prima di essere coscienti della vostra seguente azione – un tempo in cui apparite soggettivamente nella più assoluta libertà di comportarvi come meglio vi aggrada -, il vostro cervello ha già determinato cosa farete.

Sam Harris – Free Will

Tutti i nostri pensieri, e pertanto ciascun nostro gesto e comportamento, sono di origine inconscia. E quello che è inconscio (fuori dalla coscienza): è, per definizione, non soggetto al controllo della ragione e della volontà. D’altro canto un’obiezione, che io stesso sollevavo, sembra ancora plausibile.

Compatibilisti come il mio amico Daniel Dennett insistono che, sebbene i nostri pensieri e le nostre azioni siano il prodotto di cause inconsce, restano comunque i nostri pensieri e le nostre azioni. Qualsiasi cosa che i nostri cervelli compiono o decidono, consciamente o meno, è qualcosa che noi abbiamo compiuto o deciso.

Sam Harris – Free Will

Sembra…

Il 90% delle cellule nel vostro corpo sono microbi. Molti di questi organismi eseguono funzioni vitali – sono “voi” in un senso lato -, sentite di identificarvi con essi? Se si comportano in modo inadeguato, siete moralmente responsabili?

Sam Harris – Free Will

In questo attimo, state prendendo innumerevoli “decisioni” inconsce, con organi diversi oltre al cervello, ma questi non sono accadimenti per i quali vi sentite responsabili. State producendo globuli rossi ed enzimi digestivi, in questo momento? Il vostro corpo si sta adoperando in tal senso, naturalmente, ma se “decidesse” altrimenti, voi sareste le vittime di questi cambiamenti, piuttosto che la loro causa.

Sam Harris – Free Will

Come possiamo essere “liberi”, in quanto agenti coscienti, se tutto quello che coscientemente vogliamo è causato da eventi nel nostro cervello di cui non abbiamo volere, e di cui siamo ignari?

Sam Harris – Free Will

Tanta roba da assimilare, eh?

Come anticipato in precedenza, ora che abbiamo cozzato per bene con la dura realtà dei fatti, vediamo nondimeno di uscirne da non fatalisti/nichilisti e forse persino con un abbozzo di sorriso sulle labbra…

Alcuni pensano che il diradarsi dell’inestimabile libero arbitrio porti via con sé anche il doveroso principio della responsabilità delle proprie azioni: se non sono realmente padrone della mia persona, allora come posso essere ritenuto responsabile delle mie azioni? posso fare quello che voglio, tanto sono giustificato? i criminali e gli assassini dovrebbero restare impuniti e liberi di commettere reati su reati, tanto sono biologicamente obbligati a fare quello che fanno? Sono chiaramente delle posizioni insostenibili. A scomparire non deve essere la responsabilità legale/giudiziaria, ma il sostrato morale/religioso di colpa e peccato che attualmente permea tale concetto.

Chi compie il male, deve essere punito, con sanzioni pecuniarie e la privazione della libertà personale (a vita, nei casi più gravi), e se possibile riabilitato (in futuro, magari potremo operare correzioni più mirate con l’ausilio di tecniche e soluzioni all’avanguardia, che andranno al punto biologico del problema), ma non deve assolutamente essere ritenuto come moralmente colpevole e quindi divenire oggetto di odio e risentimento, né da parte delle vittime e dal loro circolo affettivo, né dalla società e dalle istituzioni; poiché loro stessi vittime, ma della loro biologia – più facile a dirsi che a farsi, ma sarebbe la cosa moralmente giusta da fare.

Senza andare poi sul lato penale, riconoscere l’illusorietà del libero arbitrio ci renderebbe tutti un po’ più comprensivi e clementi con le manchevolezze e i difetti degli altri, e specialmente con i nostri; ne conseguirebbe un’esistenza psicologicamente mille volte più leggera, serena e salubre.

Inoltre

Perdere la convinzione nel libero arbitrio non mi ha reso fatalista – al contrario, ha accresciuto il senso di libertà. Le mie speranze, paure e nevrosi appaiono meno personali e indelebili. Non c’è modo di sapere di quanto potrò cambiare in futuro.

Sam Harris – Free Will

La spersonalizzazione in un’accezione positiva.

Va bene, rileggendo, ammetto che il mio tentativo di indorare la pillola non è stato un granché valido e sensazionale, mea culpa. Poco male però, perché questa esposizione vuole essere un’umile introduzione, un antipasto stuzzicante, all’opulenza e alla potenza del libro, che spero di cuore abbia acceso la curiosità e il desiderio di assaporare la portata al completo: Il Free Will di Sam Harris; che neanche a dirlo, fa un lavoro decisamente migliore del mio, nel mostrare la non tragicità che segue il disincanto dal libero arbitrio.

Nel “peggiore” dei casi, mi auguro di aver agitato le acque della vostra mente e di avervi regalato nuovi e interessanti spunti di riflessione!

 

 

 

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Il nemico dentro

Il nemico dentro

Il nemico dentro

Alzi la mano chi di voi si trova ingaggiato in una lotta all’ultimo sangue con un nemico giurato… nessuno, sospetto (e meno male!). No, nella vita reale, l’arcinemico , semmai il caso, non è da ricercarsi là fuori nel mondo, ma in “casa”, dentro di noi, di più: siamo il nemico.

Verosimilmente l’antagonista per eccellenza, il muro più imponente cui potremmo mai imbatterci; è solo Dio sa quanta forza serve per avere la meglio, quanta per avere successo nell’espugnazione…

Siamo dei superlativi progettatori di prigioni mentali. 

Ci intrappoliamo tra pareti e sbarre edificate a regola d’arte, confinati in una gabbia che limita, vincola, coercizza il nostro raggio di pensiero, e quindi d’azione, a seguire compulsivamente sempre lo stesso pugno di schemi, paradigmi mentali, alla meno peggio, controproducenti. 

Prigione mentale

Ancora, ancora e ancora: un continuo dimenarsi, ora avanti, ora indietro, fra le quattro mura di una “gatta” buia, angusta e miserabile.

Al contempo vittima e carnefice.

Quale però la cagione di questo potenziale ergastolo della volontà, della libertà (spirituale)? Ai miei occhi, il risultato di un fallimentare tentativo di innalzare, da parte della psiche, un meccanismo di difesa, una barriera protettiva in risposta a episodi di vita nei quali l’integrità fisica e/o mentale di un soggetto è stata messa in gravissimo repentaglio (reale o inteso tale); con altre parole: l’incrinamento dell’equilibrio psicologico conseguente un evento traumatico.

Coloro i quali navigano in questa invidiabile condizione vengono senza indugio alcuno bollati come delle persone irrazionali, pervicaci all’inverosimile nel reiterare, in precise circostanze, comportamenti inopportuni, problematici, tossici.

Ma costoro non hanno voce in capitolo. Sono destituiti della scelta, forgiatori e portatori di un giogo invisibile allo sguardo altrui. Non per questo certo sollevati dall’assumersi la responsabilità dei propri atti, ci mancherebbe, ma è innegabile che il loro sia un fardello amaro, quando consapevoli.

La salvezza dalla dannazione del (nemico dentro) , se fortunati, non verrà attendendo con le mani in mano o con le mani unite in preghiera solenne, niente assoluzione di grazia: è necessaria un’evasione in grande stile; ma non con una operazione in solitario, poiché risulterebbe una missione quasi impossibile (come si può pretendere di sconfiggere un avversario così alla pari?)…

Complici.

Nella vita, come in generale avviene, se si vuole arrivare da qualche parte, nel nostro caso ritornare a respirare l’aria pulita dell’autentica possibilità e dire addio all’aria viziosa della non-possibilità, dobbiamo avere buoni “complici”.

Autentica possibilità

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Una spada non possiede forza, a meno che la mano che la impugni abbia coraggio.

Shigeru Miyamoto – The Legend of Zelda

Ciò che fa la differenza

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Non c’è niente all’infuori di te stesso che potrà mai renderti migliore, forte, ricco, veloce o intelligente. Tutto è all’interno.  Tutto esiste. Non cercare niente all’infuori di te.

Takehiko Inoue – Vagabond/Musashi Miyamoto – Il libro dei cinque anelli

Dentro di te

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